lunedì 22 maggio 2017

Il Po pollinoso e la fattoria urlante


Ventunesima tappa, Mantova - Scorzarolo, 26 km.

Faccio il vago mentre esco da una Mantova ancora sonnacchiosa in cui tutto deve ancora mettersi in moto, tutto tranne le mie gambe che già trottano di gran lena.
Faccio il vago anche dopo aver camminato lungo tutto il lago nel lussureggiante bosco, dopo averlo visto ritornare fiume ed averlo abbandonato al suo destino.
Faccio il vago quando passo per Aldes, l'odierna Pietole che diede i natali al sommo vate.
Faccio il vago fino a San Cataldo, microscopico paese dotato di bar, dove sosto una ventina di minuti con i piedi all'aria e in mano un succo di mirtillo. 
Riesco a fare il vago per altri due, forse tre km ma quando alfine giungo alla ciclovia che costeggia il Po non posso più non ammetterlo: fa caldo, un caldo infame, infame perso.
Certo, il Po è sempre il re dei fiumi italiani, anche quando è pieno di una schiuma fatta di pollini galleggianti diretti al mare, e guardarlo scorrere lento è un vero piacere ma non porta alcun refrigerio e quindi, allo stato attuale delle cose, vale poco. 
Sono più o meno a metà tappa e non c'è alternativa se non quella di andare. 
L'asfalto è una brutta bestia, ti consuma le suole e ti indolenzisce i piedi; quando arrivo a Borgoforte non ne posso già più. L'ombra è un concetto sconosciuto su questa strada eppure basterebbe camminare oltre l'argine, giù, fra gli alberi per avere un po' di refrigerio ma purtroppo ho dimenticato a casa il macete e non si può​ fare. 
Lo sguardo è basso, il ritmo costante e ipnotico ed è così che la testa se ne parte per la tangente iniziando a mettermi in bocca una sequenza di stupide canzonacce che canto con convinzione e a squarciagola. 
I km scorrono lentamente uno dopo l'altro, fra visioni stile fata morgana e improvvise illuminazioni  di origine psichedelica: un mix pericolosissimo.
Quando arrivo a Scorzarolo e scendo dalla ciclabile sono uno zombie sudato e privo di morale: straparlo (ovviamente da solo).
In paese non c'è nulla, nemmeno un bar ma fa bella mostra di se una fontanella sorvegliata da due panchine: mollo zaino, macchina fotografica e tutto il resto e, prima ancora di bere, metto la testa sotto il fresco getto d'acqua ed è come se venissi al mondo una seconda volta.

La fattoria dove dormo è a un tiro di schioppo e mi rendo subito conto che sarà una bella accoglienza. Farida, donna tartara, mi accoglie e mi abbraccia come il figliol prodigo mentre il cane mi fa le feste e mi lecca le mani.
Ora sono sul letto, docciato e riposato e mentre scrivo tutti gli animali lì fuori, asini, oche, pecore, galli e galline urlano la loro gioia di sapermi li con loro: la fattoria diventa una cassa armonica e tutto è subito inno alla natura, fragoroso e magico. 
Come cantavano gli Housemartins? Me and the Farmer get on fine 

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