mercoledì 27 novembre 2019

Pellestrina: su e giù per l’isola lunga


Uno dei pennelli di Pellestrina
Negli ultimi due decenni il modo di viaggiare e di visitare mete turistiche ha subito una profonda trasformazione; la possibilità di trovare voli a prezzi stracciati soprattutto se prenotati con largo anticipo, ha cambiato il modo di fare turismo e portato le persone a puntare su soggiorni mordi e fuggi soprattutto nelle città d’arte e nelle capitali europee. La velocità con cui ci si relaziona con luoghi sconosciuti è lo specchio, ahimè, di un impoverimento culturale sempre più diffuso, di una superficialità che dà solo l’illusione di aver visitato una città; è come se si dovessero mettere più bandierine possibile su un’ipotetica mappa dei luoghi agognati, dire a tutti i costi di esserci stati pur avendoli solo assaggiati.
L’Italia ha un patrimonio culturale immenso e città come Roma, Firenze e Napoli (solo per dirne alcune), meriterebbero di essere scoperte e vissute con soggiorni più lunghi. Venezia non è da meno e asserire di averla visitata in solo due o tre giorni è come dire di aver letto Guerra e pace dopo aver dato una scorsa alla prima pagina, perché oltre ai musei, alle chiese, alle mostre e ai palazzi storici, la sua laguna ha da offrire molto a chi voglia realmente approfondire.
Burano, Torcello, Murano, Sant’Erasmo e il Lido, sono isole ricche di fascino e tesori ma per me che amo la solitudine e le lunghe passeggiate invernali al mare, Pellestrina è sicuramente il luogo ideale.

Cabin estivo
Ho ribattezzato questa lingua di terra l’isola lunga, perché si estende per undici chilometri fra Alberoni (estremità sud del Lido) e Chioggia, ma anche il termine strettale calza a pennello visto la sua larghezza: 23 metri nel punto più sottile e 1,2 chilometri in quello più ampio.
Per raggiungerla bisogna arrivare al Lido e da lì prendere l’autobus numero 11 che, dopo aver superato lo splendido borgo di Malamocco, raggiunge l’imbarcadero del ferry boat da cui si fa dare un breve passaggio per rimettere giù le ruote a Santa Maria del mare. 
Qui sta a voi decidere come procedere: potete proseguire la corsa lungo la strada comunale dei Murazzi che tocca il borgo di San Pietro in Volta, la frazione di Portosecco fino ad arrivare al paese di Pellestrina, esattamente dall’altra parte dell’isola, o cominciare a camminare subito. 
I due lati, quello affacciato sulla laguna e quello rivolto al mare, sono le due facce di un’unica meravigliosa medaglia, profondamente diverse ma inscindibili.
Personalmente, amo percorrere la spiaggia di mattina e tornare indietro sull’altro lato attraversando i due borghi e ammirando il tramonto, magari con uno spritz al Select in mano ed è proprio di questo giro che voglio raccontarvi.

Pescatore di bevarasse
Tronchi portati dal mare
Partire presto è fondamentale per godere appieno della giornata, soprattutto in inverno, quando il sole va giù presto. I chilometri sono parecchi, una ventina all’incirca, e la fretta, si sa, è il peggior nemico del viandante.
Scendete alla prima fermata del bus e prendete la scala che vi porta in cima alla massicciata dei murazzi, infilatevi nel primo passaggio disponibile, attraversate la sottile macchia di vegetazione e guadagnerete la spiaggia. 
In un tempo non troppo lontano non esisteva, l’erosione l’aveva cancellata, spazzata via onda dopo onda e c’erano solo grossi sassi ammassati che tenevano a bada il mare durante le mareggiate e quando l’Adriatico si metteva in testa di invadere a forza la laguna trasformandosi in acqua alta, un’abitudine che non ha mai perso, come forse avrete letto nell’articolo precedente.
La costruzione dei Pennelli, lingue di cemento circondate da grosse pietre che si spingono per una ventina di metri verso il mare, ha permesso alla sabbia di tornare, depositarsi e rimanere protetta creando un arenile vasto, dove gli abitanti dell’isola trovano pace e relax durante l’estate.
Io la trovo d’inverno, quando sono spesso l’unico essere umano presente o incontro soltanto qualcuno che fa sgambare il cane o un pescatore che, immerso fino alla vita nel mare, tira su le bevarasse con l’apposito strumento, una sorta di rastrello dotato di una rete che viene trascinato lungo il fondale. 
Le bevarasse sono delle piccole vongole, note altrove come lupini, e si usano per condire la pasta, soprattutto gli spaghetti.

Compagnia mangia e bevi
Polipi di plastica
Camminando, gli occhi sono liberi di spaziare verso l’orizzonte ma anche di cercare tesori, quelli portati dalla corrente e abbandonati sulla sabbia. Non si tratta di perle o gioielli, tantomeno di oro scintillante, più che altro sono scoasse, un termine che in veneziano indica i rifiuti, la spazzatura, ma come diceva il compianto Robin Williams in una scena di quel film capolavoro che è La leggenda del re pescatore: «A volte si trovano cose bellissime nella spazzatura».
Io per esempio l’anno scorso ho trovato un paletto giallo lungo una settantina di centimetri che mi ricordava tantissimo una grossa matita e che ora è in fase di restauro grazie alle abili mani di un mio caro amico; ho recuperato anche il piccolo teschio di un cane, minuti pezzi di legno dalle forme bizzarre e ovviamente tante conchiglie. Non torno quasi mai a mani vuote da una delle mie scarpinate, e quelle rare volte che la borsa non si riempie, sono gli occhi ad arricchirsi perché il paesaggio può essere sorprendente.
I residenti sono soliti tirar su piccole costruzioni spartane con i tronchi degli alberi portati a riva dal mare, quelli ormai senza corteccia e con il legno levigato da anni di correnti e salsedine; sono ripari ingegnosi che d’estate offrono ombra a chi passa la giornata in spiaggia grazie a teli stesi come soffitti impalpabili. C’è chi usa vecchie tavole e sedie dismesse ma ancora capaci di sostenere una persona, per allestire tavolate su cui consumare i pasti, giocare a carte e financo a scacchi.
I più estrosi addobbano questi cabin improvvisati nei modi più disparati, appendendo rosari di conchiglie, buffi polipi ricavati da bottiglie di plastica che ondeggiano al vento e scrivendo frasi divertenti che in qualche modo certificano la proprietà e le peculiarità di quel singolo rifugio. D’estate sono vivi e colorati mentre d’inverno hanno un aspetto un po’ spettrale, quello di villaggi abbandonati degni di un libro dell’orrore; alcuni collassano sotto il peso del vento e delle mareggiate, diventano cataste informi, pronte però a essere ricostruite con tenacia nella primavera successiva. 
Molti dei tronchi che non sono usati, rimangono come ornamento ai tratti di spiaggia fra un pennello e l’altro; hanno forme singolari, radici contorte e, nella mia galoppante fantasia, assumono le sembianze di strani animali, ma più che un bestiario ricordano i miti di Cthulhu partoriti dalla fervida mente di H. P. Lovecraft. È la mia personalissima e ipotetica mitologia lagunare, fatta di creature schive che tendono a camuffarsi, a insabbiarsi, nascondendosi agli occhi indiscreti di chi cammina e rimanendo immobili come se fossero morti. 
Sovrani indiscussi di questa surreale fauna sono i galleggianti che sono usati per l’allevamento delle cozze; molti di loro riescono a liberarsi dal giogo umano, nuotano per un po’ in mare aperto e finiscono per guadagnare la riva e la libertà. Sono blu, gialli, rossi e i loro dorsi riempiono di colore la sabbia come puntini gioiosi, donando un seducente tocco pittorico a un paesaggio che, di per sé, già sembra un dipinto. 

Galleggianti insabbiati
Mitologia lagunare
I pennelli si succedono uno dopo l’altro come un contachilometri trasversale, finché non si arriva in un punto dove la spiaggia tende a sparire e, se la marea è alta, lo fa del tutto. Si può continuare a camminare oltre i massi, sorvegliati dall’imponenza del ponteggio rosso dell’ACTV che serve a sollevare i vaporetti in riparazione ma che ricorda in modo impressionante un santuario giapponese, poi si arriva finalmente al borgo di Pellestrina.
Qui, se il passo è stato veloce, le energie sono ancora fresche e si ha parecchio tempo a disposizione, si può costeggiare il piccolo cimitero e seguire i murazzi fino a Ca’ Roman. Questo lembo di terra, un tempo separata dal resto dell’isola, nel 1911 è stata unita da una sottile barriera fatta in pietra d’Istria (la diga foranea); quest’area di cinquanta ettari è una vera e propria oasi faunistica, dove trovano pace e nidificano quasi 200 specie di uccelli, fra cui il martin pescatore, il falco pellegrino e, nei periodi estivi, il gruccione (dai colori sgargianti), il tenero assiolo e il fantomatico succiacapre, un volatile frainteso per lungo tempo.

Diga foranea
Bunker a Ca' Roman
Qui la spiaggia ha subito, nel corso degli ultimi cento anni, una straordinaria trasformazione, crescendo in larghezza e arricchendosi di una rigogliosa macchia boschiva lunga qualche centinaio di metri. Questa perla bisogna guadagnarsela percorrendo a piedi la lunga diga, ma la fatica sarà ampiamente ripagata dal paesaggio e dall’incanto sonoro generato dal rumore del vento e dai richiami degli uccelli.
Purtroppo i lavori del Mose, vera e propria truffa perpetrata ai danni dei veneziani, hanno rubato a questo splendido luogo tre ettari che non gli verranno mai restituiti. 
All’interno del bosco di pini, si trovano alcuni bunker risalenti alla seconda guerra mondiale che un tempo presidiavano l’accesso alla laguna e che ora, proprio grazie all’espansione dell’area, emergono dalla fitta vegetazione come grigi fantasmi di un periodo triste e buio della storia recente. 
Sul lato della laguna è possibile vedere invece la fortificazione nota come Ottagono di Ca’ Roman, risalente alla seconda metà del 1500; era uno dei due maschi costruiti a difesa del porto di Chioggia e ora giace in stato di abbandono.
Molte sono le fortificazioni militari presenti su questa lunga lingua di terra e possono essere visitate, rigorosamente dall’esterno, sulla via del ritorno.

Paesaggio sospeso
Paesaggio sospeso
Ritornati a Pellestrina, ci si infila nelle piccole calli del borgo e si comincia a seguire il percorso che si snoda sul lato interno dell’isola. Se non vi siete portati i panini, qui troverete alcuni ristorantini in cui potrete assaggiare ottime specialità di pesce come le schie, l’anguilla e le seppie, ma anche fantastici antipasti di cannocchie e cappesante, pasticci di pesce, seppioline in umido, fritture e grigliate sublimi accompagnate da verdure coltivate negli orti della laguna.
Ci sono anche un paio di bar dove potrete farvi confortare da spritz e cicchetti. Io di solito sono per l’autoproduzione culinaria e per mangiare sulla spiaggia un paio di panini, ma una volta sono stato all’Osteria la Rosa con una mia amica e ne serbo un bel ricordo.
A ora di pranzo, sul limitar della riva, non è difficile vedere gli abitanti di Pellestrina cuocere il pesce in barbecue improvvisati, spesso ricavati da vecchi cestelli di lavatrici; il profumo che si espande tutto intorno può essere una tortura per chi, colto da languorini vari, si trovi a passare di là. Nel primo pomeriggio invece, potrete vedere le donne sedute fuori dagli usci intente a far quattro ciacole e realizzare merletti al tombolo (che qui si chiama balon), una specie di cuscino cilindrico imbottito di paglia, o i vecchi pescatori stendere le reti e le nasse nelle aiuole o nelle piazzette deserte per aggiustarle. Chiacchierare con loro e ascoltare storie di mareggiate e di pescherecci in balia delle onde può essere una bellissima esperienza, quello che si dice del tempo investito bene. Una volta mi hanno offerto un caffè versandomelo da un thermos, e quella mezz’ora in loro compagnia è uno dei ricordi più belli che ho delle mie spedizioni esplorative sull’isola lunga. 

Pescatore che ripara le nasse
Le case di San Pietro in Volta
Le case dei borghi rispecchiano il tipico stile veneziano, piccole e colorate e passeggiare con calma lungo la riva può essere bellissimo, soprattutto in alcune giornate, quelle in cui il vento sembra andare in letargo e le poche nuvole sono sapientemente pennellate; l’acqua sembra diventare immobile, l’orizzonte perde di consistenza e le piccole barche ormeggiate, le briccole e i casoni da pesca sembrano galleggiare, sospesi in una sorta di paesaggio liquido. Basta il transito di un motoscafo a rompere questo incanto, ma a ora di pranzo sono tutti a tavola e la navigazione è praticamente inesistente e si può rimanere estasiati a guardare verso quell’azzurro infinito, fin quasi a perdere il senso del tempo oltre a quello dello spazio. Difficilmente assisterete a questo spettacolo di mattina, ed è per questo motivo che è meglio tornare indietro da questo lato, per questo e per il tramonto. 
Il sole scendendo allunga le ombre, accarezza ogni cosa e tinge d’oro l’acqua; si cammina dandogli le spalle ma è inevitabile girarsi ogni tanto a osservarlo mentre, come un esperto pittore, dipinge il cielo di colori sempre più caldi lasciando che il blu intenso su in alto, gli faccia da coperta. 
Bisogna aggirare il finto tempio giapponese perché in quella zona camminare lungo costa non è consentito, ma si rientra subito, seguendo la riva di San Pietro in Volta le cui ultime case in fondo si affacciano sulla laguna; i loro colori, accesi dal sole sempre più basso, contrastano con l’azzurro scuro della laguna lasciando senza parole chi le guarda.
Sono gli ultimi fuochi di una giornata lunga e intensa che si conclude all’imbarcadero  di Santa Maria del Mare, dove il ferry boat è pronto a riportare uomini e macchine ad Alberoni. Il sole è prossimo al tuffo che conclude il suo ciclo giornaliero e vedere il crepuscolo dalla terrazza superiore di questa grossa imbarcazione è solo la ciliegina finale di un’ottima torta.

Il ponteggio dell'ACTV
Casone da pesca
Poche note conclusive. 
Il nome Pellestrina potrebbe derivare da quello del generale romano Filisto che fece scavare dei canali (le fossae Philistinae) per mettere in comunicazione l'Adige e la Laguna Veneta, ma c’è anche chi ipotizza che il toponimo derivi da pelle strana, come quella dei pescatori che la abitavano e che erano costretti a lavorare tutto il giorno in barca. 
Per gli amanti delle due ruote, tutto l’anno è possibile noleggiare le biciclette davanti all’imbarcadero del Lido, pedalare fino ad Alberoni, imbarcare il mezzo sulla nave e visitare Pellestrina più velocemente, anche se pedalare sulla spiaggia è veramente poco pratico se non impossibile. Il percorso ciclabile è ben segnalato da degli appositi cartelli e conduce fino al cimitero; da lì si può proseguire fino a Ca’ Roman pedalando sulla diga, mentre chi volesse fare un salto a Chioggia, che merita una visita, può legare la bici e imbarcarsi nel vaporetto che in una decina di minuti porta sulla terraferma. 
Durante l’estate ci sono alcune feste che animano i borghi dell’isola lunga e presso gli stand gastronomici si può mangiare dell’ottimo pesce. 
La Festa di Sant'Antonio si svolge il 12 giugno, quella di San Pietro in Volta dal 27 al 30 giugno, la Festa della Madonna dell'Apparizione è il 4 agosto mentre quella di Portosecco è dal 13 al 16 agosto.
L’autobus numero 11 fa anche servizio notturno per cui non ci sono problemi a tornare a Venezia anche sul tardi. 

Briccole
L’acquagranda del 12 novembre scorso ha messo in ginocchio l’isola, le attività e molte abitazioni hanno subito danni gravissimi, ma la gente di Pellestrina è tenace ed è storicamente abituata a fronteggiare il mare e le sue intemperanze. 
Trovate il tempo di farci un salto, di dedicarle un’intera giornata e lei saprà ripagarvi pienamente e sorprendervi con la sua bellezza.

Tramonto a Pellestrina

mercoledì 20 novembre 2019

Duri i banchi

La marea a Riva degli Schiavoni
Duri i banchi, tenete duro: questa frase risuona nelle calli e nei campi, è sussurrata nei pochi bar aperti, rimbalza sulle pagine social di chi vive a Venezia, pervade l’aria e ricopre la città, esattamente come l’acqua.
Quello che è successo martedì 12 novembre è stato straordinario, nell’accezione più pura del termine: fuori dall’ordinario. Vedere il tranquillo Rio de S. Ana trasformarsi in un fiume fuori giri, argine e controllo, osservarlo aggredire brutalmente via Garibaldi e mordere i suoi lati come uno squalo affamato è stato qualcosa di spaventoso, d’intollerabile. Prendere coscienza dei danni il giorno dopo è stato anche peggio.

La calle invasa dall'acqua
Da quando ho scelto questa città come tana, ho imparato a conviverci, ho capito molte delle sue regole e alcuni dei meccanismi che ne governano l’esistenza e la sopravvivenza. Quando decidi di vivere parte del tuo tempo in un nuovo luogo, devi necessariamente armonizzartici, accettare tutti gli aspetti del suo carattere, anche quelli più intransigenti; in questi anni, io e Venezia siamo diventati più complici, ci capiamo meglio ed io sento di amarla ancora di più, anche nei momenti di difficoltà. 
Nonostante la mia frequentazione di Venezia sia di lunga data, il battesimo dell’acqua alta l’ho avuto lo scorso anno, il 29 ottobre, quando ho sentito per la prima volta cantare la sirena: era tardi, poco prima di mezzanotte e un suono che ricordava quello sentito in tanti film sulla guerra, Roma città aperta per dirne uno, era risuonato nel silenzio delle calli come un muggito lamentoso e triste, poi erano partite le note. Quattro toni crescenti scanditi da una piccola pausa avevano fatto vibrare tutta la città portando un messaggio ed io mi ero sentito per un attimo una comparsa di Incontri ravvicinati del terzo tipo: davanti a me non c’era un’astronave ma una città bellissima, le sue luci fioche, le sue notti silenziose. 
Il livello dell’acqua si fermò a un centimetro dalla soglia della mia casa, appena sotto il gradino, quota 156 cm sul medio-mare. Lo so, sembra un termine preso dalla saga della Torre Nera di Stephen King ma il medio-mare non è uno dei tanti mari possibili, è lo zero mareografico registrato dalla stazione idrografica di Punta della Salute; le sue variazioni sono sintomo di maree (sostenuta, molto sostenuta ed eccezionale) e sono loro a dar vita ai toni musicali e a molto altro.

Acqua alta
L’acqua alta – in questo caso acqua granda– è un fenomeno molto complesso, generato da un insieme di fattori quali la fase lunare, i venti, le condizioni metereologiche, i campi barici e tanti altri. Spiegare in poche parole la complessità di questo evento è praticamente impossibile ma potete approfondire la questione curiosando sul web; posso dirvi che quel martedì notte, allo scirocco che, come d’abitudine, soffiava impietoso da sud spingendo l’Adriatico verso il suo punto terminale, si è aggiunta la bora che ha rinforzato ulteriormente la spinta dell’acqua facendo si che sommergesse letteralmente la città.
La marea, prevista intorno ai 160 cm, si è alzata velocemente fino a toccare i 187 e la sua forza distruttrice ha trascinato con sé qualsiasi cosa trovasse sul suo cammino: barche, pedane per attraversare i ponti lungo la Riva degli Schiavoni e quella dei Sette Martiri, imbarcaderi, tavoli e sedie di bar e ristoranti, cestini dei rifiuti, briccole. 
La corrente è stata la prima cosa ad andar via, lasciando Venezia cieca e ancora più impotente; a casa avevo solo una mezza candela, mentre lo smartphone e il portatile, altre possibili fonti di luce, erano ridotti al lumicino e quando l’acqua ha iniziato a trasudare dal pavimento riempiendo la casa non ho potuto fare altro che sollevare ciò che potevo usando delle mattonelle e sedermi aspettando che l’incubo finisse. È passata un’ora e più, poi il vento si è spento rapidamente come si era acceso e la marea ha iniziato a defluire. Una volta tolta la paratia da davanti alla porta, il grosso dell’acqua si è trasformato in una cascatella scivolando giù dal gradino e tornando in calle; il suo rumore si è sommato a quelli che uscivano dalle altre porte aperte, a quello dei secchi svuotati, e questo sgocciolare ha riempito il silenzio di una città annichilita.
Ci sono volute altre due ore per far uscire il resto, per trascinare fuori dalla camera da letto a colpi di scopa l’acqua che non ne voleva sapere di ritornare in laguna. La luce fortunatamente era tornata e lavorare è stato più semplice; sono andato a dormire alle 2,30 con il fisico provato e un forte senso di angoscia per ciò che poteva essere successo nel resto della città.

Vaporetto arenato sulla riva
Muri abbattuti a Giardini
La mattina dopo Venezia si è risvegliata scoprendosi dilaniata, colpita al cuore e solo allora è iniziata la conta dei danni. La maggior parte delle attività commerciali e degli appartamenti siti al piano terra aveva subito danni gravi, macchinari ed elettrodomestici non avevano retto il confronto con la marea e si erano arresi, all’interno dei negozi le merci giacevano a terra o ancora galleggiavano nell’acqua; nessuno si era salvato e via Garibaldi sembrava un campo di battaglia.
Dopo aver recuperato ed espulso ancora un po’ d’acqua, sono uscito per rendermi conto di ciò che era successo e ciò che ho visto è stato terrificante; a Sant’Elena c'erano molti pini abbattuti e due battelli erano affondati e dall’acqua uscivano solo le prue, un vaporetto della linea 1 era appoggiato per metà su una riva non lontano da Piazza san Marco. Anche due gondole erano state spinte in secca e un motoscafo si era infilato in una calle come se avesse disperatamente cercato riparo dalla furia degli elementi. A Giardini uno degli imbarcaderi era sparito e ricordo di aver pensato che durante la notte avesse superato la bocca di porto di Malamocco e che stesse facendo rotta per i Caraibi; alcuni dei muri che delimitavano la riva proprio davanti all’uscita della Biennale erano stati abbattuti e le colonnine che impreziosivano le piccole terrazze erano state spazzate via. Tutte le pedane erano inagibili, una era addirittura piegata di trenta gradi verso l’interno mentre la statua dedicata alla partigiana, una scultura distesa adagiata fra le acque, si era spostata di qualche metro.
L’acqua non era scesa del tutto e soprattutto nelle parti più basse, piazza san Marco in testa, ancora stazionava come un’oscura presenza.

Pini caduti a Sant'Elena
Battelli affondati a Sant'Elena
Più passavano le ore e più il conto si faceva salato; dalle isole arrivavano notizie tremende, soprattutto dalla mia amata Pellestrina che forse ha pagato il prezzo più alto con i tre villaggi sommersi, le attività in ginocchio e una vittima.
È stato quel giorno che ho scoperto il senso della frase “duri i banchi” che conoscevo solo perché era il titolo di un disco dei Pittura Freska. I veneziani se la dicevano, facendosi forza l’uno con l’altro, incitandosi a tener duro e superare quel brutto momento.
La vita dopo l’acqua grandaè stata tutt’altro che facile: negozi chiusi, bancomat spenti, trasporti a singhiozzo e tanta, tantissima roba ammucchiata nei campielli e nelle calli, il tutto scandito dal rumore delle pompe che ancora tiravano fuori acqua dai locali allagati.  Tutti si sono rimboccati le maniche e un forte spirito di solidarietà ha animato la citta; tanti giovani si sono dati da fare per aiutare chi aveva bisogno venendo anche dalla terraferma e Venezia è stata circondata da un amore immenso, incondizionato, che ha permesso a molte persone di non mollare, di ricominciare. Una delle cose più belle che ho visto, era un cartello esposto nella vetrina del primo bar che ha riaperto in via Garibaldi: recitava “caffè gratis per i commercianti”. A volte basta veramente poco per essere vicini agli altri, una piccola gentilezza che sa essere di sprone per chi ha perso tutto o quasi.

Cartello di un bar a via Garibaldi
Campo Ruga
Nei giorni successivi l’acqua è tornata a far paura, ma un vento gentile ha graziato la città evitandole il colpo del KO, poi, un passo per volta, una sorta di normalità è tornata ad animare quel dedalo meraviglioso che è Venezia; i supermercati hanno riaperto, i negozi e i bacari anche. Qualcuno avrà ancora molto da lavorare per sistemare tutto e ci sarà ancora bisogno di molto aiuto ma credo di aver sentito lo spirito giusto aleggiare sui tetti di questa città unica e preziosa. 
Restano da definire le responsabilità di quanto successo, quelle che vanno oltre la furia del vento. Resta da capire la follia di un progetto come il Mose, destinato ad essere l’ennesimo spreco di denaro pubblico, dello scavo di canali che hanno devastato i fondali della laguna esattamente come il transito costante delle stramaledette navi da crociera.
Quest’anno Venezia ha lanciato dei chiari segnali di allarme, ha urlato al mondo il suo bisogno di aiuto; bisognerebbe che queste sirene non fossero ignorate, bisognerebbe che a guidare questa città non ci fosse un imprenditore che pensa solo al profitto, ma una persona illuminata in grado di fare scelte coraggiose e di sfidare i poteri forti, qualcuno in grado di lottare per il bene di un luogo che è tanto prezioso quanto fragile. 

Dopo l'acqua granda