mercoledì 18 novembre 2020

In terra d’Alpago


C’è un lago, in provincia di Belluno, che è dominato dal vento, un vento che si sveglia tardi, verso mezzogiorno, come un viveur che ha fatto nottata ma che è pronto a vivere alla grande una nuova giornata, magari dopo un buon caffè: è il lago di Santa Croce. 

Magnifico specchio d’acqua circondato dalle Prealpi bellunesi, è il cuore pulsante dell’Alpago; qui si svolge gran parte dell’attività turistica di quest’incantato angolo di Veneto, attività legata agli sport acquatici, vela, windsurf, kitesurf, e wing foil, una disciplina recente che, grazie all’uso di una tavola appoggiata a una pinna simile a quella degli aliscafi, permette di volare letteralmente sull’acqua, sospinti da un’ala che cattura il vento e lo trasforma in un reattore totalmente green.

Credo che verde sia la parola più appropriata se parliamo delle attività sportive, molte adrenaliniche, che si svolgono qui in Alpago perché, che siano legate all’acqua del lago o all’immenso blu del cielo, è sempre il vento il motore di tutto. 

Il Monte Dolada, 1938 metri di splendida montagna, domina la vallata e dalla sua cima si lanciano i temerari del volo con i loro deltaplani e parapendii dai colori sgargianti. Le loro acrobazie riempiono di arcobaleni minimi l’azzurro e fanno provare emozioni anche a chi li guarda da giù, con i piedi ben saldi sul terreno, oppure a mollo nelle acque del lago, che ha un’ampia zona riservata a chi l’acqua la vive in maniera meno ardimentosa e anche un’apprezzatissima dog beach per chi non riesce a separarsi dal suo amato quadrupede.

Io, che non sono nato per le emozioni troppo forti, l’ho girata in maniera slow, cavalcando la mia ormai fidata E-Bike fornita da B-Ride Belluno ed è in questo modo, sempre sotto la preziosa guida di Giorgio, che ho scoperto l’oasi di Sbarai.


L'oasi di Sbarai


Il nome deriva dalla parola sbarramento, perché il lago di Santa Croce è naturale ma nel corso degli anni ha subito alcune modifiche; una diga a nord, per alzare ed abbassare il livello dell’acqua, e le centrali elettriche a sud, in grado di fornire energia a un vasto territorio.

Quando il livello del lago sale, un boschetto lungo la riva nord, costituito per lo più da alberi di salice bianco, va sott’acqua trasformando l’area in qualcosa di simile a un bayoudella Louisiana. Strano albero il salice bianco, ha la bizzarra attitudine a sopravvivere anche quando le sue radici e parte del suo fusto sprofondano nell’acqua; ha la gioia di un bambino unita all’esperienza di un palombaro.

A ottobre il lago è in secca, ma in estate qui ci si arriva con i kayak e muoversi silenziosamente in quest’ambiente spettrale, deve avere un fascino unico.

Dall’oasi si segue la ciclabile che aggira il lago sul versante orientale e che è parte della Monaco – Venezia, una delle più belle piste d’Europa per ciclisti.


In bici lungo la ciclabile

Il porticciolo di Poiatte

Seguendola sono arrivato fino alla frazione di Poiatte, dove ci sono un delizioso porticciolo e la scuola di sport a vela della Lega Navale Belluno. Qui si fanno corsi destinati a tutti quelli che vogliono provare l’ebrezza di cavalcare il lago e a parlare con gli istruttori, due ragazzoni che sembrano appena usciti da Point Break, verrebbe anche voglia ma io sono un montanaro e con l’acqua ho poco a che spartire.

Poco più avanti, sulla stessa riva, c’è il Centro Ittiogenico nato da un progetto atto a riqualificare l'area e ripopolare il lago delle specie di pesce caratteristiche e a rischio estinzione: coregone, luccio e trota.

Ogni riproduzione ha i suoi tempi e i suoi momenti e ottobre non è periodo di nuove nascite qui al centro, ma visitarlo ed ammirarne la bellezza architettonica è servito a conoscere alcuni produttori locali: su una lunga tavolata c’erano formaggi, salumi, olio, marmellate, fagioli e vino; tutto, ovviamente, a Km 0.  

Ho scoperto che c’è un allevamento di maiali di cinta senese qui in zona, che l’agnello va per la maggiore in Alpago e che ci sono dei vini che si definiscono PIWI perché resistono alle malattie funginee, alle variazioni climatiche estreme e ai danni che provocano. Questa forza, se così si può dire, fa si che l’uso dei pesticidi nella vigna sia ridotto sensibilmente, a favore non solo del vino ma anche dell’ambiente.


L'ala del Wing  Foil                                                 Carne secca dell'Alpago


Per quel che riguarda l’agnello, oltre a essere uno dei piatti più apprezzati dagli abitanti della Conca, è anche un presidio Slow Food; la carne usata è, infatti, quella della pecora alpagota, un ovino autoctono. 

Se volete gustarlo al suo meglio, potete contare sulla presenza di ben due ristoranti stellati, la Locanda San Lorenzo, che ha molto a cuore i prodotti e le tradizioni gastronomiche locali che rivisita con maestria e buongusto, e il Ristorante Dolada, situato a mezzacosta nella frazione di Pieve d’Alpago, dove ha cucinato per una vita Enzo De Prà, un pioniere dell’Alta Cucina italiana, che oggi ha lasciato le redini al figlio Riccardo. Qui non è spettacolare solo mangiare, anche se la carbonara destrutturata, da buon romano, non mi ha convinto, ma anche dormire. La scala che porta alle camere al piano superiore è addobbata di zucche e lanterne come il castello di Hogwarts e la vista mattutina del lago e delle montagne circondate da spesse nuvole grigie, ricorda quelle che Harry Potter poteva vedere dalla finestra del dormitorio.

Scambiare quattro chiacchiere a colazione con il signor Enzo e gustare con lui un caffè parlando di cucina è stata un incontro che non dimenticherò mai.


Il risotto alla zucca quattro sapori della Locanda San Lorenzo


Il vitello tonnato del Dolada, una squisitezza

La scala delle zucche al Dolada

Se poi, per cena, vi verrà la voglia di salire ancora un po’ e di arrivare quasi in cima al Monte, potrete vivere l’esperienza di mangiare in un vero rifugio, dall’atmosfera tipicamente spartana, l’accoglienza calorosa e un menù che non ti aspetteresti.

Anche qui si può dormire, soprattutto se si vuole rimanere in alto e camminare lungo i sentieri che percorrono le creste del Monte Dolada, ma mi sento vivamente di consigliarvi una cosa: allontanatevi di qualche chilometro, puntate verso Belluno e concedetevi il percorso che attraversa un vero e proprio canyon: il Bus del Buson. Le alte pareti di roccia sorvegliano quello che un tempo è stato il corso del fiume Ardo, un fiume che ha deciso di traslocare, forse per una frana che gli aveva ostruito il passaggio, e che ora è asciutto e percorribile. Un sentiero ad anello lo attraversa per tutta la sua lunghezza regalando al camminatore uno spettacolo suggestivo. È un percorso da fare in silenzio, sia per rispetto al luogo, sia per cogliere tutti i lievi rumori che vengono amplificati grazie ad un’acustica eccezionale. Non è un caso se, nel periodo estivo, la “camera” più grande del budello, viene usata come sede di piccoli concerti.


Il Bus del Buson
       Una scala di accesso al borgo di Feltre                                     Il castello di Alboino

La bellezza dell’Alpago è proprio questa, senza spostarsi troppo si ha la possibilità di vedere luoghi bellissimi come questo, o come il borgo di Feltre, uno dei più belli d’Italia, con la sua cinta muraria quasi intatta e il Castello di Alboino. La stessa Bassano, con la sua grande piazza centrale e il suo centro storico merita assolutamente una visita.

Se poi siete degli amanti della birra, beh, non potete non fare una visita e pranzare alla Birreria Pedavena. 

Quella della Pedavena è una storia lunga, che inizia nel 1897, con l’inaugurazione del birrificio e che, attraverso cadute e rinascite arriva fino ai nostri giorni. 

Le grandi sale che ospitano i commensali sono rimaste ancorate nel tempo, la cucina invece si è un po’ evoluta e si può mangiare il risotto alla birra, con tanto di eruzione di schiuma, o il birramisù, un’affascinante variante, sorseggiando una rossa corposa. Io amo la birra, e pasteggiare così è stato un vero e proprio regalo.


L'ingresso della Birreria Pedavena


 

L'interno del birrificio Pedavena

Il regalo più bello però, visto che il mio compleanno cadeva proprio nei giorni della mia permanenza in terra d’Alpago, me lo ha fatto Cristian, il pasticcere della sublime Pasticceria Gaggion. Una mattina ci ha regalato un piccolo corso di pasticceria, insegnandoci a fare alcuni tipi di biscotti e facendoci assaggiare alcune sue creazioni. Io, che con i dolci ci ho sempre litigato, non mi sono scoraggiato e, infilato il grembiule, mi sono messo a impastare, stendere e sagomare degli ottimi pasticcini.

    
                     Il maestro all'opera                                                          Le mani in pasta

L'agriturismo Faverghera sotto la neve


La salita in cima al Nevegal per visitare l’Agriturismo Faverghera era l’ultimo appuntamento di questo viaggio. Marco Vuerich è un ragazzone che ha le idee chiare: azienda agricola e baita dove far assaggiare agli escursionisti e agli sciatori le prelibatezze del territorio. Si è imbarcato in quest’avventura sette anni fa e la porta avanti con passione, coadiuvato dai genitori che con lui condividono la passione per l’accoglienza e la montagna.

Fuori nevicava e faceva freddo, eravamo tutti seduti con ancora in bocca i sapori della cucina, quando una torta è apparsa davanti a me: sopra c’era la mia immagine e attorno tante candeline da spegnere; ero avvolto dal calore della stufa e soprattutto delle persone che mi hanno accolto e mi hanno aperto le porte del loro territorio mostrandomi i suoi segreti, persone che non dimenticherò.


Cristian, Marco e la mia torta di compleanno





martedì 3 novembre 2020

Fra Cimbri e Cervi: l’altopiano del Cansiglio


È difficile che io trovi un luogo dove mi senta in armonia con tutto ciò che mi circonda, un posto dove possa lasciarmi sopraffare liberamente da emozioni pure; se poi parliamo di natura, le mie esigenze diventano ancora più difficili da soddisfare. Non ci posso fare niente, sono fatto così: non sono di bocca buona, punto. Eppure.

L'aspetto carsico dell'altopiano del Cansiglio

Il Cansiglio è un vasto altopiano che si trova nelle Prealpi bellunesi, un’enorme spianata verde circondata da un anello di folta foresta, composta principalmente da faggi ma dove trovano habitat anche alcune aghifoglie, soprattutto l’abete rosso. Il terreno è carsico ed è costellato di doline e inghiottitoi, alcuni profondi oltre 700 metri, altri meno. Il più famoso è sicuramente il Bus de la Lum (cioè il buco della luce) un unico pozzo a strapiombo che è legato, nel folklore locale, alle Anguane, streghe malvage e dall’aspetto terribile che rapivano, per cibarsene, i bambini che si erano persi nella foresta. 

La sensazione di trovarsi in un posto magico si ha fin da quando, venendo su dal paese di Tambre e lasciatosi alle spalle Pian Osteria, uno dei nove villaggi Cimbri della zona, si esce dalla faggeta e la strada spiana nell’enorme spazio aperto e libero, una sorta di prateria, dove pochissime costruzioni interrompono lo stendersi armonico di madre natura.


L'ingresso al Cansiglio salendo da Tambre


Il Cansiglio è zona demaniale e lo è dai tempi del Regno d’Italia pur essendo stata per lunghissimo tempo una zona controllata dalla Serenissima; Venezia, infatti, usava il legno dei faggi per produrre i remi per le barche che si costruivano all’Arsenale e per sorvegliare la faggeta e controllare che i tagli degli alberi fossero eseguiti secondo un ordine ben preciso, in base alla posizione e all’età di ogni singola pianta, istituì la figura del Capitano Forestale. Non è raro, girando per la zona, imbattersi in alcune pietre che riportano sulla loro superfice, delle date dipinte; erano i demarcatori dei confini della foresta ai tempi del dominio veneziano.


Il Bar Bianco e una pietra demarcatrice della foresta

Le uniche attività che si svolgono nell’altipiano sono legate alla pastorizia, alla produzione alimentare, alla ristorazione e al golf. Ebbene si, nel locale Golf Club 18 buche attendono gli appassionati di mazze e palline bianche insieme a un ristorante dove mangiare è una vera esperienza, come lo è visitare il Centro Caseario Spert. Qui, le mucche sono allevate in maniera biologica e producono un latte sano e gustoso da cui si ricava una vasta gamma di prodotti: formaggi di ogni tipo, freschi, mezzani e stagionati e uno yogurt cremoso che è una vera delizia, soprattutto per chi, come me, lo consuma a colazione. Il Bar Bianco è un luogo dove poter degustare tali prelibatezze con autentiche verticali di formaggi in ordine di stagionatura, che possono essere acquistati qui o anche allo spaccio dell’agriturismo che si trova a Tambre, i cui corridoi sono invasi dall’odore del latte fresco, la colazione è a km 0 e dove ho avuto il piacere di dormire due notti.

Il fatto che il demanio sia proprietario unico di ogni cosa in Cansiglio, fa si che le attività abbiano una durata di trent’anni e che poi vengano riassegnate in base a bandi specifici; questo assicura che l’integrità del posto venga preservata.


Le mucche del Centro Caseario


Gli unici a non essere soggetti a questa legge sono i villaggi Cimbri.

Quella del popolo Cimbro è una storia affascinante; di origine celtica o germanica, si spinsero oltre le alpi scendendo dalla zona dell’odierna Danimarca e si sistemarono in epoca medievale nelle zone montuose del Veneto fra Vicenza, Verona e Treviso e più tardi anche nella zona del Cansiglio. Le testimonianze della loro presenza dal 1700 a oggi sono tutte raccolte nel piccolo Museo regionale dell'Uomo in Cansiglio "Anna Vieceli" e Centro etnografico e di cultura cimbra, di proprietà di Veneto Agricoltura.

Qui si narra della loro abilità nell’arte della falegnameria e soprattutto nella fabbricazione degli scatoi, contenitori circolari per la conservazione del formaggio, che permise loro di accasarsi in queste terre dove pochi volevano vivere e di costruire dei veri e propri villaggi, piccoli e spartani, di cui rimane ancora traccia. In questa zona ce ne sono nove, alcuni ben conservati e ancora abitati in alcuni periodi dell’anno, altri in stato di abbandono.

Uno dei più affascinanti e meglio conservati è sicuramente quello di Vallorch, la valle dell’orco, datato 1798; situato all’interno della faggeta, vi si accede percorrendo poche centinaia di metri di una bella strada forestale. 


Il villaggio cimbro di Vallorch

Nella faggeta


Giorgio, la mia super guida di Prealpi Cansiglio Hiking che mi ha portato in giro per quattro giorni, mentre ci avvicinavamo al villaggio mi ha spiegato l’ecosistema di quest’ambiente, mi ha mostrato alcune delle specie che vivono nell’ombroso sottobosco come il marasmium agliacium, un piccolo fungo che sa di aglio, e il suo parente Craterellus cornucopioides, meglio noto come trombetta da morto, un fungo che con il suo pigmento è in grado di colorare di nero la pasta. Ho addirittura assaggiato la faggiola, il seme del faggio che, chiuso in un piccolo guscio, è commestibile come fosse una piccola mandorla. 

L’incontro più bello, però, è stato quello con una giovane cerva, un esemplare non più vecchio di cinque mesi; era lì che brucava l’erba fra un paio delle casette in legno del villaggio e anche quando mi ha visto non è sembrata spaventata, forse solo incuriosita da un omone grande e grosso come me che la inquadrava con una buffa scatola. Si è limitata a trotterellare via quando la distanza che ci divideva si è fatta più sottile, e l’ha fatto con grande eleganza, degna di una mannequin in passerella.


L'incontro con la giovane cerva


I cervi, soprattutto nel periodo degli amori che va da metà settembre a metà ottobre, sono una delle attrazioni principali del Cansiglio. Nella faggeta trovano un habitat naturale numerosi esemplari che vivono serenamente tutto l’anno, isolati dalle femmine e ben nascosti nel folto della foresta, ma in questo periodo, frastornati dagli ormoni e resi meno sospettosi dall’iter del corteggiamento e della riproduzione, si mostrano nel fondo dell’altopiano, soprattutto all’alba e al tramonto.

La loro presenza è annunciata dal bramito, il caratteristico verso gutturale emesso come richiamo d’amore. Spesso basta essere più potenti da questo punto di vista per sconfiggere un rivale e conquistare un branco di femmine, altre volte è necessario lo scontro fisico; i duelli si svolgono a testate, con i grandi palchi ossei che ogni esemplare sfoggia incastrati l’uno con l’altro e la spinta tenace delle zampe e di tutto il corpo. Chi ne uscirà vincitore avrà a disposizione un intero branco e dovrà garantire la riproduzione della specie, ma non sarà una cosa facile: il maschio dovrà ingravidare tutte le femmine del branco ma loro non si concederanno proprio con facilità, vorranno essere in qualche modo corteggiate. 

La gestazione, ad accoppiamento avvenuto, è alquanto bizzarra: la futura mamma cerva, sviluppa l’embrione ma lo “congela” per tre mesi in modo che il piccolo nasca fra giugno e luglio, quando il clima sarà più mite e il cibo a disposizione più abbondante.

Ora, posso assicurarvi che vedere, seppur con un cannocchiale, un cervo circondato dal suo branco alzare il muso al cielo e lanciare il suo potente verso, vale da solo una visita a questo luogo fantastico; se poi, com’è successo a me, ci sarà una leggera nebbia a rendere il tutto più magico, ne sarà valsa doppiamente la pena.


Il cervo maschio e il suo branco nella nebbia


Cenare in Cansiglio all’Azienda agricola Filippon è un po’ come continuare a vivere quest’esperienza perché, una volta terminato il pasto, vi affaccerete sull’enorme buio dell’altipiano e vi sentirete circondati dai richiami d’amore di questi splendidi animali e vi sentirete anche voi un po' più, diciamo così, romantici.

Se non volete rimanere in alto potete scegliere di tornare verso Tambre e fermarvi a Pian Osteria dove, altre al Museo sui Cimbri, ci sono due accoglienti ristoranti, La Huta che nella lingua cimbra vuol dire “rifugio” e la Locanda al capriolo dove potrete assaggiare specialità locali come i casunzei, ravioli tipici, con il tarassaco e il formaggio, il pastin, una sorta di salame morbido fatto con carne di manzo e maiale che si cucina in vari modi e si sposa perfettamente con la polenta, e poi tutto un tripudio di carne di capriolo o di cervo. Inevitabile a fine pasto, un goccio di grappa al cumino.  

 

Casunzei con il tarassaco e pastin

Il Cansiglio però non è solo cervi e Cimbri e la zona, se avrete la voglia di girare, ha molto altro da offrire, a partire dai tanti sentieri con cui gli amanti del trekking possono attraversare i boschi e salire verso le cime che circondano l’altopiano ma l’offerta è ampia anche per gli amanti delle due ruote.

Io, che amo la bici ma che dopo dieci metri di salita ho sempre alzato bandiera bianca, ho scoperto la bellezza della E-Bike grazie alla B-Ride Belluno che mi ha messo a disposizione una bicicletta con pedalata assistita e l’esperienza (e la simpatia) di una guida esperta, Ennio. È stato grazie a questa bici che ho potuto visitare la Casa Museo dell’Alchimista a Valdenogher, a pochi chilometri da Tambre. La storia è quella di un nobile egiziano, alchimista e per questo condannato a morte in patria, fuggito e approdato a Venezia. All’epoca la Serenissima era una città molto aperta e accolse lo studioso fornendogli una casa in Alpago per continuare i suoi studi. 

La casa, che con la sua facciata ricorda più una casa veneziana che una locale, doveva avere una facciata arricchita da decorazioni a bassorilievo su pietra di cui ormai rimane ben poco e all’interno ospita oggetti tipici delle pratiche alchemiche, come ampolle e alambicchi.  

I tre piani dell’edificio rappresentano simbolicamente le tre fasi dell’opera alchemica, il Nigredo, l’Albedo e il Rubedo, che servono per ottenere la Pietra filosofale. 


La Casa Museo dell'Alchimista



La casa del libro

Potrete rimanere stupiti di trovare un luogo come questo in un piccolo paese di montagna, ma vi stupirà ancora di più trovare, qualche chilometro più in là, una casa con un libro per tetto. È un’abitazione costruita interamente in legno dal famoso scultore veneziano Livio De Marchi le cui pareti sembrano composte da volumi impilati, la staccionata è formata da grosse matite colorate e il cancello è un paio di occhiali rossi.

La staccionata di matite


Abbracciando Nonno albero


Poco distante c’è il faggio di Sant’Anna, vecchio più di 400 anni. È enorme, un po’ malandato ma ancora fermo sulle sue radici e io non mi sono lasciato scappare l’occasione di abbracciare nonno albero, una pratica cui sono dedito da anni e che mi regala sempre grandi emozioni.

Il vecchio faggio ha il gravoso compito di fare da sentinella all’ingresso della foresta del Cansiglio: da qui, infatti, parte una strada che s’insinua nella fitta stretta degli alberi. La mia E-Bike ha volato nel silenzio del bosco, pedalare è stato bellissimo e il paesaggio che ho attraversato è sensazionale. Certo, ci sono anche i segni del passaggio della Tempesta Vaia che il 29 ottobre del 2018 ha abbattuto milioni di alberi nel triveneto e causato otto morti ma, fortunatamente la zona del Cansiglio è stata sfiorata appena dalla forza del vento e i danni sono stati relativamente limitati. 

Anche il Giardino botanico alpino è stato risparmiato dalla furia dei venti ed è un bene perché in questo luogo si “coltivano” tutte le specie endemiche dell’atipiano e delle montagne circostanti, a partire dal Geranio argentato che, a differenza del nome, ha dei petali di un bel rosa pastello screziati di viola ed è il simbolo del Giardino.

Gestito da Veneto Agricoltura e collegato all’Orto botanico di Padova, organizza durante il periodo estivo, tantissime attività per bambini e adulti, alcune legate al mondo officinale; la funzione più importante, infatti, oltre alla conservazione delle specie, è quella didattica. Qui si insegna la preziosità e l’importanza di ogni singola pianta in un piano biologico più ampio e la necessità di salvare quelle che, spesso per l’intervento dell’uomo tendono a scomparire.

Qui, oltre all’ampia gamma di piante, si potranno osservare alcuni fenomeni carsici come il Bus del Giaz, un inghiottitoio che anticamente veniva usato come ghiacciaia e la cui apertura veniva coperta con numerose frasche per proteggere il prezioso ghiaccio dalla pericolosissima pioggia.


Il Giardino botanico alpino

Il geranio argentato


Questa è stata l’ultima scintilla di una due giorni intensa e ricca di appuntamenti in un luogo affascinante che non mancherà di stupire con tutte le sue proposte il viaggiatore. 

Personalmente ho deciso che quando il grande cervo uscirà nuovamente dal bosco per urlare al mondo intero il suo desiderio, io asseconderò il mio e tornerò a solcare la grande pianura del Cansiglio per vivere nuovamente le stesse emozioni.