mercoledì 8 gennaio 2020

Santa Marina, il pasticciotto e la nobile arte del cartaio

Il Santuario di Santa Marina a Ruggiano
Il terzo ed ultimo giorno dell’Educational tour dedicato al culto di Santa Lucia in Salento inizia con un bel sole caldo che spacca le nuvole rivelando un cielo di un azzurro intenso, quasi irreale. 
Il primo appuntamento è dedicato alla visita del Santuario di Santa Marina; ci troviamo a Ruggiano e quello che abbiamo davanti è un luogo di culto molto speciale come la santa cui è dedicato. L’attuale costruzione è il risultato di una serie d’interventi succedutisi nel tempo, dal 1500 fino al 1700. Originariamente si trattava di una piccola cappella costruita da monaci italo – greci e addossata all’adiacente monastero che occupava solo la zona corrispondente all’attuale presbiterio e sacrestia. Nel XVII secolo è stata completata e restaurata con la realizzazione delle due navate, mentre la facciata attuale fu terminata nel 1778. 
All’interno, oltre al bell’altare in marmo policromo e al pulpito con una balaustra lignea, campeggia la statua della santa che con una mano brandisce un martello pronto a colpire un drago la cui testa giace sotto il suo piede. Il drago, come da copione, rappresenta il male o il demonio ma Santa Marina è nota per essere la protettrice delle malattie legate al fegato, prima fra tutte l’itterizia.
Proprio per questo motivo il santuario è stato nei secoli meta di pellegrinaggio; 
La tradizione voleva che i pellegrini, prima di arrivare a Ruggiano, dovessero fermarsi a orinare nei pressi di qualcosa che avesse la forma di un arco, recitando i seguenti versi: “Arcu pint’arcu, tie sì bbèddu fattu. Ci nò ttè saluta, de culùre cu ttramùta. Ieu sempre te salutài e la culùre no ppèrsi mai”.
La statua di Santa Marina
Il pozzo fuori dal Santuario
Una volta giunti nel piazzale del Santuario poi, si acquistavano le zigaredde, i tradizionali nastrini colorati che, strofinati sulla statua della Santa e poi sul corpo, acquisivano il potere di prevenire la temuta malattia. 
Questa tradizione si perpetra tutt’oggi, soprattutto nel giorno dedicato alla santa, il 17 luglio.
Fuori dalla chiesa fa bella mostra di se un pozzo che ha una particolarità: i suoi lati hanno dei profondi solchi lasciati da corde e catene che servivano a tirare su i secchi; l’acqua è sempre stata cosa rara qui nel basso Salento e i pochi pozzi erano tenuti in gran considerazione dalle popolazioni locali perché rappresentavano l’unica fonte di approvvigionamento di un bene tanto prezioso.
È tempo di lasciare la quiete di questo luogo prezioso e affascinante e spostarci con il pulmino a Salve.

Gianluca Caputo alle prese con il pasticciotto

Pasticciotti assortiti
L’appuntamento è con Capricci del Corso, una delle pasticcerie più rinomate della zona; qui Gianluca Caputo coadiuvato dal suo staff ci insegnerà a “mettere le mani in pasta” e preparare il dolce più amato di tutto il Salento, il pasticciotto. 
La prima cosa che Gianluca tiene a precisare è che la condizione sine qua nonper ottenere una buona pasta frolla è quella di non usare assolutamente il burro bensì lo strutto. È proprio dalla pasta che iniziamo, lavorando nella planetaria la farina, i tuorli, lo zucchero, lo strutto e un po’ di ammoniaca in polvere. Una volta ottenuto l’impasto, si lascia riposare due ore in frigo dopo averlo coperto con un foglio di pellicola trasparente.
Si utilizza poi un’apposita macchina per stendere la frolla uniformemente con uno spessore di quattro millimetri, quindi, con un coppa-pasta si ritagliano i tondini che andranno a foderare gli stampini in acciaio, creando lo spazio per la farcitura. Se il masterpiece è la crema pasticcera, molte altre sono le varianti che questo prestigioso laboratorio offre, almeno dieci, fra cui crema al pistacchio (una meraviglia), ricotta e fichi o ricotta e caffè: ogni gusto è una sorpresa e una meraviglia.
Una volta farcito e ricoperto con un altro tondino di pasta, si elimina la parte in eccedenza e s’inforna il pasticciotto a 210° per 8/10 minuti in forno ventilato, e il gioco è fatto.
Ora, io in cucina me la cavo bene ma con i dolci ho sempre avuto qualche problema. “La pasticceria è matematica” diceva un mio amico che invece sfornava alla grande. Io con i numeri ci ho sempre preso poco, del resto ho fatto il classico, ma sono straordinario nella nobile arte dell’assaggiare e Gianluca, mastro pasticciere, è stato molto generoso con noi, sia nel regalarci i suoi segreti, sia portando sul tavolo di lavoro un ricco assortimento di queste perle preziose permettendoci di fare la regina di tutte le merende. 

Il giardino dell'azienda agricola Sante Le Muse
 
Orecchiette con le cime di rapa
Dopo un salto veloce nella bottega MelaCotogna, dove si vendono alcuni fra i migliori prodotti dell’enogastronomia salentina e dove Giovanna, la proprietaria, saprà consigliarvi sempre per il meglio, è tempo di metterci di nuovo in viaggio; la meta è l’azienda agricola Sante Le Muse, un luogo splendido, dove ormai sono di casa. Il legame che mi unisce a Fabiana Renzo e alla sua famiglia risale a due anni fa, quando scesi in terra di Leuca per il mio primo Educational. 
Pranzai da lei e scoprii che avevamo una cara amica in comune e da allora tornare ad assaggiare la sua cucina schietta e genuina è sempre una gioia. 
Su un grosso tavolo di legno in una delle sale, la madre di Fabiana ha apparecchiato un campionario delle principali erbe spontanee tipiche della zona, molte delle quali sono alla base di alcune ricette proposte nel ristorante. Oltre alle pastenache, le carote viola legate al culto di Sant’Ippazio, ci sono la cicuredda, il boccione minore e quello maggiore, gli zanguni e l’aspraggine, tutte piante spesso dimenticate ma che occupano ancora un posto di rilievo nella tradizione gastronomica contadina. Quello sulle erbe spontanee è solo uno dei tanti workshop che si svolgono in questo luogo che è molto di più di una semplice azienda agricola, ma è un posto dove cultura, arte, letteratura e musica si sposano perfettamente rendendo ogni incontro speciale.
Il tempo di godere un po’ dello splendido giardino baciato dal sole ed è ora di sederci a tavola. Il menù è, come al solito, ricco, a partire dai tanti antipasti fra cui le mitiche pittule (una tira l’altra) e una buonissima zucca con pecorino, per arrivare ai primi (gnocchi al ragù di carne e orecchiette con le cime di rapa) e a dell’ottima carne alla brace, tutto a km super zero. Le caraffe di vino, i dolci e un bicchiere (anche due) di distillato di alloro sono solo la ciliegina sulla torta, il giusto finale di una bella esperienza.

La statua di un gatto sul tetto della Masseria Spigolizzi
 
Nicholas Gray
Prima di andare a Lucugnano, dove ci aspetta un incontro con un mastro cartaio, ci prendiamo venti minuti per passare a trovare quelli che oso definire ormai due amici: Nicholas Gray, figlio della famosa scrittrice Patience Gray, e sua moglie Maggie Armstrong. La Masseria Spigolizzi, il luogo in cui vivono, si trova nell’area rurale di Salve, immersa in una natura bellissima fatta di uliveti divisi da muretti a secco, terra rossa e tantissime erbe spontanee, le stesse che si trovano nei libri di cucina scritti da Patience e venduti in tutto il mondo.
La madre di Nick vi si trasferì nel 1970 dopo aver viaggiato con il compagno, lo scultore belga Norman Mommens, per mezza Europa. La masseria era poco più di un rudere e i due la risistemarono e ci vissero per lungo tempo senza l’ausilio di nessuno strumento tecnologico: no frigorifero, no corrente, no telefono, una scelta categorica. 
Ora la Masseria Spigolizzi è una sorta di casa museo, e Nick e Maggie (insieme ai loro numerosi gatti) sono sempre felici di accogliere visitatori e curiosi e raccontano volentieri aneddoti sulla vita di Patience, una donna straordinaria, libera e lontana da qualsiasi schema.
Si sta facendo buio e quando arriviamo a Lucugnano, frazione di Tricase, il sole è ormai tramontato. 
Il pulmino ci lascia di fronte all’ingresso di Palazzo Comi, lo storico edificio dove visse il famoso poeta Girolamo Comi. Profondo conoscitore dei poeti simbolisti francesi, in queste stanze fondò l’Accademia Salentina nel 1948 dando vita alla pubblicazione l’Albero e a tutta una serie di iniziative compreso il valorizzare giovani di talento della zona grazie a borse di studio e sovvenzioni.
Oggi il piano nobile del palazzo è anch’esso una casa museo mentre al piano terra ha sede la biblioteca provinciale. È proprio in una stanza del pianterreno che ha luogo il workshop dedicato all’arte di fare la carta. A raccontarci, prima con un video e poi a voce, di questa nobile arte è il mastro cartaio Andrea De Simeis. L’approfondito studio della tradizione orientale per la preparazione della carta e una profonda conoscenza delle piante che ne sono all’origine hanno permesso a questo ragazzo di aprire la sua bottega, di coltivare il suo giardino/laboratorio, di produrre e vendere il suo materiale e, perché no, di insegnare, anche tramite workshop come questi, un mestiere antichissimo.
Dopo la spiegazione e aver toccato con mano fibre e polveri coloranti, si è passati alla pratica; devo essere onesto, questa parte me la sono persa perché ho preferito fare un piccolo tour privato nella casa del poeta, accompagnato da Carlo, inesauribile guida, che mi ha raccontato tantissime cose sulla storia e la vita di questo importantissimo letterato e sulla sua dimora; qui, fra i bellissimi arazzi appesi alle pareti ci fu un fermento culturale enorme, ospiti illustri, nazionali ed internazionali, soggiornarono in queste stanze e passeggiare attraversando i vari ambienti che circondano l’ampio cortile interno è stata un’esperienza unica. La grandissima cucina in muratura con il tavolo in marmo al centro e l'ampia credenza a parete è stato il vero clou della visita, la cucina dei miei sogni, in tutto e per tutto.

Il Mastro Cartaio Andrea De Simeis 
La cucina dei miei sogni a Palazzo Comi
Una volta finito il workshop risaliamo tutti a bordo del pulmino e ci dirigiamo a Tiggiano dove ad attenderci per la cena c’è la Trattoria Madamadoré.
L’accoglienza è di quelle da ricordare: c’è una piccola stanza con poche sedie riscaldata da un bel focolare, un luogo appartato dove attendere con tranquillità l’inizio del pasto, sorseggiando un calice di Rosato in pieno relax. 
Dorè (in sala) e Ugo (in cucina) sono i due pilastri del ristorante, l’anima stessa del locale, e sanno come mettere a loro agio i clienti. Le sale, sapientemente arredate con antichi oggetti della cultura contadina, ospitano i tavoli e un grazioso cortile, che addobbato con le luci sembra un vero e proprio presepe, promette, per i periodi estivi, fresche cene all’aperto.
Il menù è straordinario, a partire dall’antipasto misto della casa che comprende crocchette e arancini fatti in casa, polpette di farro brasate al negroamaro con cipolle, una deliziosa caponatina di ortaggi freschi, cipolle caramellate, un assaggio di formaggio primosale con confettura di fichi e per finire un flan di zucca con crema di scamorza affumicata e granella di amaretto.
Su espressa richiesta del gruppo la pasta non doveva essere presente ma è arrivato comunque un piccolo assaggio di cavatelli con fagioli e cozze: sublimi.
Per secondo abbiamo assaggiato un filetto di baccalà scottato al timo selvatico e rosmarino su crema di ceci e abbiamo chiuso in bellezza con frutta di stagione e dolci tipici fatti in casa. Ad accompagnare il tutto dell’ottimo Rosato e un Salice Salentino delle Cantine Vecchia Torre di Leverano. 

Ugo in cucina

Il bancone del Madamadoré
Sono gli ultimi fuochi del Fuoco d’Europa, questo Educational interessantissimo, ben progettato e ricchissimo di appuntamenti; il Salento e le Terre di Leuca hanno un patrimonio inestimabile che non riposa mai: visitare questa terra fuori stagione e, perché no, in inverno riserverà sempre delle graditissime sorprese e saprà donare a chi lo farà, il calore e l’accoglienza di un popolo straordinario e di luoghi fantastici. 
Vi invito al viaggio, sapendo che prima o poi tornerò anche io.