martedì 30 maggio 2017

Chi lascia la pianura guadagna la vigna, chi resta in pianura boccheggia e ristagna.


Ventottesima tappa, Piacenza - Albereto, 30 km.

Quando abbandono l'ostello sono le 5,50 e il sole è sorto da poco. Uscire da una città non è mai facile, esattamente come entrarci e per lasciare Piacenza percorro  strade e stradine e poi una luuunga ciclabile che costeggia una strada trafficata. Le due, a braccetto, attraversano il Trebbia e lì si separano perché la strada tira dritta mentre io scendo sul lungofiume e comincio a seguirne il corso.
È un parco naturale ben organizzato con pannelli illustrativi e aree sosta. Sosta? Chi ha detto sosta? Non mi pongo troppo il problema e mi siedo su una panchina liberando i piedi per farli sgonfiare un po': comincia a far caldo e prevenire è meglio che curare.
Passo davanti a un idrante agricolo ma il getto è troppo lontano per sperare in una rinfrescatina così mi gusto solo gli arcobaleni. Poco più avanti una nutria grossa come un maiale mi vede, si spaventa e salta dal campo in cui stazionava serena tuffandosi nel canale di irrigazione lato strada creando un'onda anomala; il caldo in testa gioca brutti scherzi e io mi immagino l'onda crescere sempre più e devastare passo passo tutta la pianura e tutta la strada fatta finora, giù fino ad Aquileia.
È un trattore gigante a strapparmi dall'apocalittica visione dello tsunami padano: deve passare e io sono d'ingombro. 
Arrivo al paesino di Gragnano Trebbiense dove faccio la prima succososta, versione light della ormai celeberrima lemonsosta.
Trattasi di un succo di frutta, possibilmente al mirtillo, diluito sapientemente con acqua frizzante gelata: disseta come poche cose al mondo.
C'è un drittone di tre km su asfalto che taglierebbe le gambe anche al fondista più esperto poi si arriva a Campremoldo Sopra (!!!) e quindi a Mottazziana dove faccio la seconda succososta. Il sole picchia come un assassino incarognito e io sudo copiosamente, zampillo in ogni dove, bisogna reintegrare liquidi. 
Attorno a me campi, campi e solo campi, che siano di pomodori imberbi o di mais in fase di sviluppo ma il campo più strano è quello pieno di cipolle, estratte dal terreno e lasciate in fila a cuocersi al sole. Inspiegabile. 
Passo i paesi fantasma di Breno Sopra e Bilegno e in quest'ultimo mi fermo nuovamente, come se stessi percorrendo una via crucis; nel parchetto di fianco alla chiesa cresce un ciliegio ed è gonfio di frutti maturi, molti sono già caduti.
Sfrutto la mia altezza e aggancio i rami più alti cogliendo piu ciliegie che posso; sono succose e buonissime e rinfrancano spirito e corpo dandomi l'energia necessaria ad arrivare fino a Castelnuovo dove l'ultima succososta del giorno si compie. Il barista è un omone simpatico e io mi metto a raccontare della Postumia a lui e ad altri due interessati avventori
Manca poco a finire la tappa ma c'è da salire e il primo strappo, breve ma intenso, mi taglia un tantino le gambe. Pochi metri ancora e tutto cambia, il paesaggio si apre e la bellezza dei filari dei vigneti prende il sopravvento su tutto il resto, fatica e caldo compresi. Si alza anche un po' di vento ed è quello a farmi capire che la pianura è ormai alle spalle e da qui in poi nulla sarà più lo stesso. 
Il rush finale verso Albereto mi lascia un po' senza fiato ma ormai sono arrivato e posso rilassarmi: la doccia, una di quelle lunghe e a temperatura variabile, mi rimette al mondo così come l'acqua fresca e le ciliegie che mi vengono offerte in dono.
Sono felice, i muscoli dolgono un po' ma l'euforia, si sa, è l'antidolorifico più potente al mondo.





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