mercoledì 30 ottobre 2019

Comacchio, le Valli e l’anguilla

Uno scorcio di Comacchio
Ci sono dei luoghi che, pur vergati nella nostra lista dei desideri alla sezione viaggi, rimangono inespressi, non assecondati, per ragioni di tempo, di occasioni o di volontà. Il delta del Po (e in particolar modo Comacchio) era nel mio mirino già da un pezzo ma, per una ragione o per l’altra, non avevo mai trovato il modo di andarci, mi erano sempre sfuggiti. Non so bene perché, forse per un’indomabile propensione al romanticismo, ma avevo sempre pensato che novembre fosse il momento giusto per visitare la zona, per via delle nebbie che vi imperversano rendendola spettrale e desolata come l’ambientazione di un romanzo di Poe.
Forse anche le zanzare, stanziali per quasi tutto l’anno vista la specificità del territorio, sarebbero state meno numerose o meno agguerrite, magari è in quel periodo dell’anno che si godono le vacanze, o un meritato letargo, non lo so, il mio rapporto con i ditteri non va oltre l’odio incondizionato. 
Il destino ha voluto che nei giorni del mio compleanno (metà ottobre), Comacchio ospitasse la Sagra dell’Anguilla uno degli eventi più importanti della sua agenda culturale; io vado particolarmente ghiotto di questo pesce serpentiforme che molte cucine regionali ignorano, e comunque difficilmente si può dire di no al destino ed è così che un piccolo sogno si è realizzato ed io ho avuto il mio regalo.

Casone nella Valle di Campo
Visitare le valli di Comacchio può essere un’esperienza meravigliosa dal punto di vista paesaggistico ma, se accompagnata dai racconti di una guida esperta, può diventare molto interessante anche a livello storico e culturale.
L’intera area, situata fra le province di Ravenna e Ferrara, è una zona umida molto vasta, ben 130 km², formatasi nel X secolo per un abbassamento del suolo. Originariamente raccoglieva acque dolci di piccoli fiumi e rigagnoli, ma nel XVI secolo le acque del mare iniziarono progressivamente a infiltrarsi trasformando le valli in salmastre. Nel corso dei secoli, bonifiche e immani sistemazioni idrauliche hanno trasformato l’area portandola allo stato attuale. L’area è divisa i quattro valli: Fossa di Porto, Lido di Magnavacca, Fattibello e Valle Campo.
Proprio quest’ultima è stata la meta della prima escursione, introdotta da una lunga spiegazione sulla storia del luogo e della gente che lo abitava, sui metodi con cui è praticata la pesca, e sulle varie specie animali che popolano l’habitat, dai tantissimi uccelli fra cui i bellissimi fenicotteri rosa, ai tanti anfibi, pesci e crostacei che pascolano felici in queste acque, fino alla celebratissima anguilla, la regina di Comacchio. 

Una bolaga






















La pesca è sempre stata l’attività principale in queste terre paludose, spesso unica fonte di sostentamento per la gente che le abitava. Nel corso dei secoli il metodo di allevamento e di cattura si è modernizzato pur rimanendo fedele a se stesso negli strumenti utilizzati: i primi che impariamo a conoscere sono i lavorieri. Si tratta di manufatti formati da una serie di bacini comunicanti, a forma di punta di freccia, un tempo costruiti interamente in grisole (fasce di canna palustre che erano intrecciate fra loro) e pali di legno, che nei giorni nostri sono state sostituite da griglie metalliche ancorate a blocchi di cemento, pur mantenendo la caratteristica forma. Potremmo definirlo una specie d’invito che nasconde una trappola; alcuni pesci, infatti, con alcune particolari condizioni climatiche, risalgono i canali per trovare riparo nelle calme acque della valle e in quei momenti i lavorieri sono aperti per permettere il passaggio, salvo poi richiudersi alle loro spalle una volta terminato il transito. In altri periodi, specialmente in autunno alcuni pesci, ma soprattutto l’anguilla sessualmente matura, tenteranno di far ritorno al mare ma troveranno i lavorieri chiusi e potranno essere facilmente catturati dai vallanti, le persone che vivono e lavorano in questi luoghi.
Quella dell’anguilla è una storia bizzarra; cominciamo con il dire che per buona parte della sua vita è minuscola e trasparente, riconoscibile solo dagli occhietti neri, ma la cosa più buffa è che è asessuata: deciderà quando si sentirà pronta in base a innumerevoli fattori, se diventare maschio o femmina e da quel momento in poi si svilupperà. La femmina crescerà fino a raggiungere i tre chili di peso mentre il maschio rimarrà più piccolo. Dopo l’accoppiamento, nel periodo invernale, le anguille cercheranno inevitabilmente il mare, risaliranno i canali e questa sarà la loro fine.
Le esigenze di mercato però, fanno si che si debba pescare l’anguilla anche in altri periodi dell’anno ed è allora che intervengono le nasse; non sono reti normali, sono vere e proprie trappole che rendono facile l’ingresso e pressoché impossibile l’uscita, grazie a camere sempre più strette che conducono al sacco finale detto cogolloBadate bene, in estate o in primavera non troverete l’anguilla vera e propria nei piatti dei molti ristoranti sui lidi del ferrarese ma il pasciutto, cioè l’anguilla non ancora completamente matura.
 
La fiocina dei pescatori di frodo
Facciamo un passo indietro e torniamo ai tempi in cui diavolerie tecnologiche come camion e celle frigorifere ancora non erano state inventate. Dove si conservavano le anguille durante la raccolta? E come si trasportavano fino all’azienda Valli di Comacchio che si trovava nel comune? 
Man a mano che le catturavano, i vallanti le sistemavano in grossi cesti di vimini chiamati bolaghe che potevano contenerne addirittura quattro quintali e che erano lasciate in acqua in modo da permettere la sopravvivenza degli animali.
Una volta terminata la pesca, le anguille erano trasferite sulle marotte, barche larghe e basse che rimanevano quasi completamente sommerse e in cui l’acqua entrava attraverso le numerose fessure; questo permetteva ai pesci di rimanere in acqua durante il trasporto e agli uomini di avere quei dieci centimetri di spessore esterno per muoversi e governare le barche nelle basse acque dei canali mentre una grossa nave con dotata di vela ma anche di rematori le trainava verso il paese.
Un’altra storia del passato è quella dei fiocinini, pescatori di frodo delle valli spesso per fame più che per guadagno. Attraversavano le valli su barche molto strette e leggere, che potevano permettergli fughe più rapide e scavalcamenti di argini e fossi. Il nome deriva dallo strumento che usavano per arpionare le anguille, delle piccole fiocine appunto; aiutandosi con delle lampade riuscivano facilmente ad illuminare le acque sottostanti e ciò che si muoveva, ma questo li esponeva enormemente al rischio di essere individuati; i vallanti, che vivevano nei casonisparsi lungo gli argini delle vallibuona parte dell’anno, sorvegliavano attentamente e appena intravedevano una luce, si muovevano veloci per andare ad acchiappare i ladruncoli.
fiocininisi fecero furbi e inventarono una lampada che poteva essere messa sott’acqua e quindi difficile da vedere; è l’eterna lotta fra guardie e ladri, a volte dettata dalla sopravvivenza e non è strano che alcune famiglie che gestiscono ora la pesca nelle valli discendano proprio da questi pescatori abusivi.
 
In barca nella valle
Terminata l’introduzione, ci siamo accomodati su una piccola imbarcazione e abbiamo cominciato la nostra escursione nel bacino. Fra aironi, garzette, cormorani e gli inevitabili gabbiani, abbiamo solcato l’immensa distesa d’acqua accompagnati dai salti dei cefali che tentavano vanamente di assomigliare ai delfini e avvolti in una leggera nebbia che donava a tutto l’ambiente un aspetto di sospensione, una specie di limbo dove nulla sembrava reale. I richiami degli uccelli tagliavano come lame il silenzio della valle, mentre il babbo della guida ci raccontava piccoli pezzi di storia, la sua e quella della gente che viveva questi luoghi decenni fa. Si sono pescati anche dei granchi (perché la fauna è molto ricca di crostacei) e ovviamente si è parlato di cucina e di specialità locali. 
Una volta tornati all’approdo, è stato inevitabile fermarsi ad assaggiarle al ristorante Valle Campo: spritz per cominciare e a seguire bagigini fritti (sono le alici ancora non cresciute), pasta con crostacei e, inevitabilmente, anguilla arrosto con polenta. Alzarsi e rimettersi in moto, è stata una vera e propria impresa.

Bagigini fritti

Anguilla ai ferri con polenta
Comacchio mi ha ricordato istintivamente Burano, i canali, le case colorate: se non ci fossero state le macchine, ci si sarebbe potuti confondere. Il complesso architettonico Trepponti costruito nel 1638 dall’architetto Luca Danese è il monumento più conosciuto nonché simbolo della città. 
Posto come fortificazione all’ingresso del canale Pallotta che era il collegamento diretto con l’Adriatico, è caratterizzato da cinque rampe di accesso; le tre sul lato del paese portano a un piano in pietra d’Istria che permette affacci su entrambe i lati; da qui partono le due rampe di uscita che corrono ai lati del grande arco centrale.
L’ampia fetta di centro storico pedonalizzato solitamente deve essere un’oasi di pace e bellezza ma questi sono i giorni della sagra dell’anguilla e il viavai di gente è impressionante. Ai piedi del Trepponti un cuoco sta spiegando a una folla attenta la ricetta di un risotto che vede unirsi in un abbraccio creativo, oltre al pesce serpentiforme, il guanciale, la mela verde e il pecorino. È solo uno dei tanti eventi che caratterizzano il ricco programma di questa tre giorni tematica.

Trepponti
Nella grossa sala che ospita il mercato del pesce, ci sono gli stand che vendono i prodotti della Manifattura dei Marinati, Presidio Slow Food, che produce alici, acciughe, acquadelle e naturalmente anguille tutte rigorosamente marinate e chiuse in delle scatole di latta dalla veste grafica affascinante e un po’ retrò. Oltre a questi prodotti, c’è ovviamente il sale di Cervia, noto come sale dolce perché costituito da cloruro di sodio purissimo.
Un grosso mercato che ospita bancarelle artigianali, gastronomiche, di oggettistica e vestiti vintage e, ahimè, anche qualche cineseria di troppo, occupa le strade più esterne del paese. 
Dopo una lunga passeggiata e un aperitivo funestato da nugoli di zanzare affamate giunge il momento di raggiungere lo stand gastronomico e di lasciarsi andare alle prelibatezze del cibo locale. 
Ad attirare la mia attenzione è un secondo dal nome bizzarro: brodetto al bec d’aesen. Non posso resistere alla curiosità e mi faccio spiegare il significato del nome da uno dei camerieri. Pare che, in un periodo di grande povertà in cui scarseggiavano quasi tutti gli alimenti, i vallanti chiusi nei casoni si lamentassero di non aver niente con cui cucinare l’anguilla; il capo gli disse di cucinarla con il becco dell’asino, cioè con il nulla. Loro riuscirono in qualche modo a rimediare una cipolla e un avanzo di pomodoro e la fecero cuocere con quei poveri ingredienti creando un autentico capolavoro.

Lo stand della Manifattura Marinati
Brodetto al bec d'aesem
Dopo una passeggiata a Porto Garibaldi dove i pescatori vendono il pesce direttamente sulle barche, la salina di Comacchio è il piatto forte della seconda giornata. Questo ecosistema prezioso, con una ricca biodiversità, è visitabile in più modi. Molti sono quelli che noleggiano le biciclette e si muovono lungo gli argini, ma da buon camminatore credo che percorrere quest’ambiente a piedi sia il modo migliore per osservarlo e viverlo pienamente e in armonia.
Le saline accolgono specie di piante e animali che si sono adattate a vivere nel corso di milioni di anni fra acque e fanghi molto salati.
Pesci, crostacei, piccoli esseri unicellulari e uccelli, tanti uccelli. Qui ha trovato riparo una ricca colonia di fenicotteri rosa, ormai stanziali. Osservarli non è semplice perché sono in una zona dove non si può accedere, ma se avete un binocolo o un buon teleobiettivo montato sulla vostra macchina fotografica, potrete osservarli dormire su una zampa sola o infilare il becco nell’acqua per nutrirsi.  La loro tipica colorazione è dovuta proprio ad alcuni microorganismi e macro-invertebrati che sono parte integrante della loro alimentazione: la Dunaliella, il Chironomide e l’Artemia, più nota come scimmia di mare. 
Il ciclo della natura, autonomo e perfetto, qui è tangibile e per mantenerlo tale bisogna muoversi con rispetto e cautela. I Birdwatchers hanno delle postazioni specifiche per osservare le specie che qui vivono protette e sicure e la loro caccia fotografica può essere ricca. 
L’unica nota disarmonica, pur essendo perfettamente naturale, è la presenza massiccia di zanzare, non semplici mosquitos ma vere e proprie macchine da guerra. Ti seguono mentre cammini e se hai la malaugurata idea di fermarti a fare una foto, sei spacciato. Ogni puntura si porta appresso un ponfo bello grosso che persiste per giorni, alla faccia di aloe, ammoniaca e ogni altra sostanza alleviante. Ho rimpianto sinceramente la mia racchetta elettrificata, fedele compagna di molte battaglie.
Fenicotteri rosa
Fenicotteri rosa
Lungo il canale principale che lambisce la salina, si erge la Torre Rossa; è ciò che rimane di un’antica fortezza a forma di stella a quattro punte, dotata di bastioni che fu demolita attorno al 1940 e di cui oggi non rimangono che le fondamenta.
Costruita probabilmente nella seconda metà del Cinquecento sotto il Ducato di Alfonso I d’Este era adibita ad uso militare. Dopo vari cambi di destinazione d’uso fu abbandonata nel 1984 con la chiusura produttiva della salina e la natura cominciò a rimpossessarsene. Nel 2014, grazie a Saltworks un progetto italo-sloveno, la torre è stata restaurata con cura e rispettando l’ecosistema e il paesaggio. A oggi fa parte effettiva del Parco ed è un ottimo punto di avvistamento per i birdwatchers. 

Torre rossa
Il tempo di tornare al punto di partenza ed è già ora di andare a casa; lo faccio a malincuore e con una promessa, quella di venire nuovamente in questo luogo magico, per approfondire la bellezza di un habitat ineguagliabile, ricco di storia, di sapori e di paesaggi meravigliosi.
A presto Comacchio. 


martedì 1 ottobre 2019

Slowly in Salve, terzo giorno



La mattinata è veramente densa di appuntamenti e si parte presto perché il primo incontro è con una persona che appartiene storicamente alla categoria dei lavoratori notturni: un fornaio.
Daniel è il proprietario del Forno Antico, una panetteria che risale alla fine del 1700. Assisto alla preparazione del forno che viene riportato a temperatura con un po' di legna. Le forme di pane sono già pronte per essere informate e Daniel, con l'aiuto della compagna inizia a sistemarle all'interno  una ad una per poi tappare la bocca di fuoco e dare il via alla cottura. Producono il celebre pane di grano duro ma anche friselle, taralli e le fantastiche pucce alle olive. La loro stagione è quasi finita e a breve potranno godersi due settimane di meritate vacanze in Germania prima di ricominciare il loro lavoro, uno dei più duri ma, dal mio modesto punto di vista, dei più affascinanti.


Il tempo di uscire ed entriamo nella piccola chiesa di sant'Antonio datata seconda metà del 1500. Al suo interno vari affreschi fra cui quello che ritrae il giudizio universale. Al centro della parete san Domenico Pomponii, colui che pesa le anime, indirizza coloro che hanno portato avanti una vita proba a sinistra, verso san Pietro che con le sue chiavi apre loro le porte del paradiso, mentre a destra Satana cavalca un drago che inghiotte le anime dei dannati.
Sul lato opposto l'affresco di un'annunciazione sdrammatizza un po' il tutto. La chiesa, negli anni '60 ha avuto un cambio di orientamento di 180° e ora non si accede più dalla parete su cui il Giudizio fa bella mostra di se.


Sacro e profano si mescolano spesso qui in Salento e la tappa successiva è alla Pasticceria Dragone, la più famosa di tutta Salve. Qui si producono i famosi pasticciotti, dolce tipico leccese (o di Galatina a seconda delle rivendicazioni) che addolcisce tutta la provincia da sempre. La loro preparazione è complessa ma affascinante: nei classici stampini, un tempo in alluminio e ora in acciaio, si adagia uno strato di frolla saporitissima grazie all'utilizzo dello strutto al posto del burro e di un concentrato di arancia. I ripieni, oltre all'originale crema, prevede a volte l'utilizzo di cioccolato, amarene e anche pistacchio, segno dell'apertura di un dolce tipico a "nuovi" sapori.
Il pasticciotto si cuoce per 13/15 minuti in forno a 240°, si lascia intiepidire e poi si estrae dagli stampini per finire nelle vetrine di questa pasticceria storica.


La terza tappa del giorno è forse quella che aspettavo di più, quella al parco archeologico diffuso di Salve.
Ci troviamo in località Macchie don Cesare, un'area di 100 ettari che è in realtà una gigantesca necropoli scoperta in tempi recenti. Il fatto che molti dei tumuli funerari fossero crollati ha sempre creato confusione perché il salento è una terra rocciosa e da sempre i contadini hanno eseguito spietramenti per poter coltivare la terra. Il fatto è che, storicamente, questa era una zona di pastorizia e i conti non tornavano. Marco Calavera dell'Associazione Archès e il suo amico Nicola Febbraro hanno cominciato a muoversi in quest'area e hanno portato alla luce ciò che bisognava illuminare.
La storia di questa necropoli risale a 4000 anni fa, quando la Magna Grecia ancora non esisteva e la scrittura era ancora di là da venire. La città dei morti non trovava riscontro in una città dei vivi, perché i villaggi dell'epoca erano costruiti con materiali deperibili come il legno e di loro non rimane traccia; eppure questo cimitero ante litteram è da sempre qui, in un lembo di terra affacciato sul mare e con le spalle agli ulivi.
Dei dodici tumuli riportati alla luce, il numero sette è sicuramente quello più importante, perché, oltre al ritrovamento di numerose ossa e di 907 denti che parlano di un una specie di ossario, sotto il piccolo dolmen custodito dal tumulo sono emersi dei vasi cinerari. È proprio questa la particolarità che lo rende unico al mondo, il fatto che in uno stesso luogo di sepoltura convivano il rito dell'inumazione e quello dell'incinirazione. Piccola nota a margine: nelle ceneri dei corpi bruciati sono stati trovate tracce di legno d'olivo e di fillirea, una pianta autoctona il cui intenso profumo serviva per coprire il cattivo odore dei corpi bruciati.



È tempo di godersi una mezzoretta di relax in riva al mare prima del pranzo a base di pesce presso il ristorante Lido Venere, uno dei migliori dellamarina di Salve. Ricco antipasto misto, prosecco, vino rosé e scialatielli ai frutti di mare sono solo l'entrè di un pasto che prosegue con frittura mista e involtini di pesce per un'apoteosi ittica che non ha paragoni.


Io sono montanaro e lo sapete ma questo non toglie che io mi possa godere una gitarella in barca ; se poi il paesaggio è quello della costa che va da Torre Pali a Leuca la goduria raddoppia e se il tramonto è la perfezione cromatica e la compagnia è speciale, lo spirito montanaro riesce ad armonizzarsi perfettamente con le onde.


L'ultimo appuntamento è di nuovo a palazzo Ramirez per la conferenza finale di questa splendida tre giorni. Tutti i presenti, il sindaco, gli assessori e i rappresentanti di Legambiente, della Pro Loco e di Salve turismo, hanno concordato sul fatto che la lentezza sia il modo migliore per promuovere il territorio soprattutto nei periodi di minore affluenza. Bisogna puntare sui cammini, sulla riscoperta dei borghi storici, delle zone archeologiche e delle aree rurali, e soprattutto sulla valorizzazione delle eccellenze eno gastronomiche.


La serata si chiude a Sante le Muse, un mio luogo del cuore dove Fabiana, amica preziosa, delizia i suoi ospiti con ricette antiche e a chilometro zero. Non è solo un ristorante, è molto di più, un centro dove cultura, arte e letteratura si fondono in un progetto più ampio, creando un polo di attrazione unico nel suo genere. Ogni volta che torno respiro quello spirito di accoglienza che ha caratterizzato tutto questo educational tour, quello che il Salento e Salve in particolar modo sa esprimere incondizionatamente e che fa si che ogni volta che torno io mi senta a casa. 
Come cantano i Sud Sound System: "Questa è casa mia, terra mia!!!"