martedì 6 giugno 2017

La stanchezza e il re di tutti i venti


Trentacinquesima tappa, Bosio - La Sereta, 23 km disumani.

Che sarebbe stata la tappa più dura dell'intera Via Postumia lo sapevo, quanto sarebbe stata dura non lo potevo neanche lontanamente immaginare.
Esco alle 6,30 e il cielo è sereno, come da previsioni meteo. Scendo le curve del paese, attraverso un torrente in secca e, fatti pochi passi mi confronto subito con la dura realtà: c'è da salire, una salita tosta. 
La carrareccia è a sassi sparsi, un tipo di superficie che detesto con tutto il cuore e anche con i piedi; va su senza mezzi termini, ripida e crudele e ogni tanto spiana per tre, quattro metri come se volesse dirmi "poteva essere cosi e invece hai voluto le montagne".
Quando arrivo in cima e scollino sono da strizzare; la maglietta è appiccicata alla pelle e se la stacco e poi la mollo lei torna subito ad aderire completamente al mio corpo. La bandana è già stata strizzata tre volte ma è di nuovo zuppa e ogni singola cellula della mia epidermide è sudata: fortunatamente la vista che mi si apre davanti è sublime e fa si che tutto il resto passi in secondo piano.
Per un po' cammino in piano e in leggero saliscendi, incrocio il cadavere di una Due Cavalli poi inizia la lunga discesa che mi porta ad incrociare una strada asfaltata seguendo la quale arrivo a Voltaggio. 
È un paese pieno di storia, rimasto immune al passare degli anni grazie alla sua posizione nascosta. Mi prendo un po' di tempo per camminare le sue stradine, visitare la chiesa e mangiare un paio di pezzi di focaccia con le cipolle poi mi rendo conto che le nuvole si stanno ammassando nonostante il vento soffi impetuoso e impietoso.
Mi rimetto lo zaino e scendo veloce verso il ponte romano dove faccio qualche foto prima di rimettermi in marcia.
Il seguito è una brutta storia di cielo nero,  passo sempre più veloce e salite assassine. Non me la godo per niente, l'imprevedibilità dell'appennino mi agita e mi costringe ad una lotta contro il tempo ma è tutta fuffa: quando scendo su asfalto a Chiappa prima e a Castagnola poi il cielo si è aperto nuovamente sparpagliando  le nuvole che ora corrono veloci come treni. 
I miei muscoli chiedono pietà e io li accontento, ma solo un po': se mi fermo adesso potrei non ripartire più. 
C'è ancora un bel po' di strada da fare, una lunga discesa fra paesaggi resi bellissimi dal riemerso sole, poi ci sono tre km di salita inaspettata per arrivare alla Sereta, un'accoglienza isolata  fra i monti e piena di pace. Il vento continua a soffiare forte verso nord. Ci deve essere un generatore di nuvole oltre quelle montagne, altrimenti non si spiega che, dopo due ore abbondanti di sonno, il cielo sia ancora coperto.
Mi sto preparando per una ricca cena in questo posto magnifico, le gambe fanno un po' giacomo giacomo, ma riuscirò a scendere le scale per andare a cena.
Domani Passo della Bocchetta e via in Liguria: Genova è ormai vicinissima.

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