sabato 17 giugno 2017

La Smarrita e il bosco dei non morti


Ottava tappa, Bardi - Osacca, 15 km.

Dovrebbero inventare una teleferica che dal punto più alto del castello di Bardi faccia volare viandanti e pellegrini dall'altra parte della vallata: ridurrebbero drasticamente il dislivello della prima salita e ci sarebbe da  divertirsi anche un bel po'. Ma noi siamo camminatori, non temerari volanti per cui si scende a fondo valle, si attraversa il ponte sul Ceno, poi un altro su un affluente secco dal nome sconosciuto​ e infine si comincia a salire, salire duro.
Si va per asfalto, sterrata e sentiero, con una pendenza costante di quelle che ti fanno morire le parole in bocca e ti rendono un'informe massa sudata alle primissime ore del mattino, come se il tempo fra il pre doccia di ieri e l'adesso non fosse mai passato.
Si respira un po' solo quando si arriva in località Chiappa, un luogo dal nome evocativo che piacerebbe molto ai Minions.
Lì la strada spiana un po' e la vista si allarga regalando gioia e conforto, ma dura poco: gli Abati ricominciano a salire fra boschi e calanchi e stargli dietro torna ad essere faticoso.
Quando incontriamo la prima casa di Monastero sembra di precipitare in una favola dei fratelli Grim: nascosta dai rami e avvolta dall'edera, sembra essere la trappola perfetta per qualche bambino sprovveduto e sperduto. Appare il campanile di una chiesa a dare conforto ma le case in pietra che incontriamo, sovrastate dalla roccia viva, sembrano tutte in rovina, con i tetti sfondati e le mura lacerate. E invece no, invece qualcosa rimane, qualche brava persona ha dato nuova vita a queste abitazioni senza intaccarne troppo l'antico fascino. 
Ci sediamo sui gradini del campanile per una insindacabile pausa a base di banane ed acqua fresca; il parmigiano, new entry nello zaino grazie alla signora Silvana di Bardi, rimane lì, dimenticato e il suo potenziale energetico inespresso.
Si riparte in salita fra i calanchi e, dopo essere passati sotto una specie di Golgota chiamato inevitabilmente Tre Croci, si scende rapidamente sul sentierino più sassoso del mondo che finisce dritto dritto nel ruscello; guadiamo senza difficoltà le sue poche acque e risaliamo ripidissimi e con passo da bradipo fino a sbucare nuovamente su asfalto, davanti ad un piccolo cimitero e ad una chiesetta senza particolari attrattive. La strada ci porta a Brugnola dove una fonte ci permette di rifornire le borracce per lo strappo finale, il più duro.
Siamo stanchi, i muscoli reclamano, tutto il corpo protesta; quando giungiamo al bivio in cui il sentiero punta dritto verso la cima della montagna e stiamo per lasciarci sedurre dall'ipotesi asfalto (se si può definire tale viste le sue condizioni) scopriamo l'esistenza di una Via Bassa per Osacca che si addentra nel bosco e scegliamo lei: è il regalo più bello della giornata.
Il bosco è vagamente lugubre nonostante i numerosi uccelli che cinguettano felici: gli alberi non sono alberi, sono creature contorte e deformi, scavati nei loro tronchi, svuotati, come se fossero morti, eppure ancora carichi di foglie. 
Alcune radici sembrano mani protese, pronte a ghermire l'ignaro passante e alcuni sassi, coperti dal muschio, ricordano antiche creature di epoche lontane.
Camminare in questo luogo è bellissimo, al di là dei brevi, inevitabili strappi e del saliscendi impietoso. Scavalliamo la montagna molto più in basso del percorso "ufficiale" con la certezza che, più prima che poi, sarà questa la via maestra.
Risbuchiamo sui calanchi e scendiamo a ricongiungerci alla strada; da lì ad Osacca mancano poche centinaia di metri e li copriamo con la disperazione di chi sogna una doccia da anni.
La Smarrita ci attende, è una casa in pietra portata a nuova vita con sacrifici e tanta passione da una coppia di Modena. Deve il suo nome alla piccola campana della vicina cappella, che anticamente, quando si avvicinava la sera, chiamava a se con i suoi rintocchi i pellegrini in cammino e i contadini nei campi in modo che nessuno rimanesse al buio senza un riparo sicuro.
Pellegrini siamo, e anche se la campana non suona più, qui troviamo una bella accoglienza, come se il tempo non fosse passato.

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