mercoledì 20 settembre 2017

Le Murge, i boschi ricchi e mamma quercia


Seconda tappa, da Cassano delle Murge a Santerano in Colle, 22 km.

Iniziare con una buona colazione, non mi stancherò mai di dirlo, è importantissimo; quando la colazione la fai in un agriturismo speciale come il Pantalone, puoi star sicuro di vivere un'esperienza, fatta di prodotti a km 0, di marmellate e biscotti fatti in casa e di piccoli frutti dimenticati dall'affascinante nome di Azzeruole.
Il sentiero parte da Cassano catapultandoci immediatamente nel parco delle Murge e inoltrandosi quasi subito in una zona di fitta vegetazione nota come Bosco di Mesola. Ora, io di botanica ne mastico poco e notoriamente ho anche il pollice nero (ciò che pianto inevitabilmente muore) ma oggi ho la fortuna di avere con me Lorenzo, che invece è un pozzo di scienza. Le sue descrizioni, puntuali e dettagliate, rendono giustizia a questa zona e me la fanno apprezzare molto di piu. Gli alberi che arricchiscono l'area hanno nomi antichi e altisonanti: roverella,  fragno,, fustaie di Pino d'Aleppo, per nominarne solo.alcuni. Poi ci sono gli arbusti, quelli tipici della macchia mediterranea come il lentischio, la ginestra, il cisto marittimo, la quercia spinosa, il meraviglioso corbezzolo, oltre al mirto, il mio adorato biancospino, e il pruno spinoso con i suoi piccoli frutti di un bel colore viola blu. Tante sono le curiosità che Lorenzo snocciola mano a mano che passano i chilometri e la sua conoscenza della vegetazione locale  è una vera manna per le orecchie, soprattutto per chi, come me, ha sempre pensato alla quercia solamente come un gran bel albero. Lasciate però che vi riveli un segreto: di tutte le piante che abbiamo visto oggi, quello che di più ci ha soddisfatto è stato, anche oggi, il fico vulgaris. Frutti deliziosi ci hanno dato conforto per tutta la durata della tappa e non possiamo che esserne felici: gaudemus.

Ogni tanto il bosco si dirada aprendosi in piccole radure il che ci dà modo di osservare affiatate coppie di poiane compiere i loro larghi giri nel cielo in cerca di cibo sulla terra.
Arriviamo ad una vecchia masseria datata 1600 ora trasformata in agriturismo, uno bello, pieno di animali, alberi da frutta e gestito da un omone simpatico che, dopo aver dispensato caffè e succhi di frutta autoprodotti buoni da far paura, ci porta a fare un giro nella sua azienda sotto lo sguardo curioso di tanti asinelli e sotto quello protettivo di un docilissimo pastore abruzzese, canide enorme.
Appena fuori dalla struttura principale, in un largo recinto di muri a secco, maiali e cinghiali vivono insieme in perfetta armonia, dando origine ad una simpatica e numerosa prole ibrida.
Ci infiliamo nuovamente nel bosco, seguendo un sentiero fiancheggiato da rigogliosi ciclamini e dagli sgargianti fiori gialli dello zafferano selvatico; io trovo il tempo di dare un lungo abbraccio ad un grosso albero materno, mamma quercia, ed è uno di quei momenti energetici che sanno scuoterti nel profondo.

Quando lasciamo definitivamente il bosco siamo più o meno a metà tappa. Il cielo tende a coprirsi ma le nuvole, spinte dal gran vento non sembrano ancora volersi ammassare, alla faccia del meteo.
Ci muoviamo fra sterrati e minuscole stradine di campagna, ricche di silenzio e prodighe di panorami mozzafiato.
Facciamo una piccola sosta in cui consumiamo un po' delle piccole prugne che sono il nostro pranzo e poi ripartiamo.
Passiamo davanti ad un grosso parco attrezzato chiamato Il Parco dei Briganti, pieno di giochi avventurosi fra cui l'immancabile ponte tibetano, e il nome del luogo stimola il buon Claudio a raccontarci del fenomeno del brigantaggio in Puglia, una cosa che raggiunse il suo apice a cavallo dell'unità d'Italia e il cui principale protagonista fu tale Vito Servodio che trovò la morte per mano dei carabinieri proprio a due passi dal luogo dove abbiamo dormito ieri notte. 
Il sentiero che percorriamo, stretto fra due muri a secco, è proprio il tipico esempio delle vie che usavano i briganti per spostarsi nel territorio. I muri però non sono quelli bassi incontrati finora, sono alti ed hanno come una piccola tettoia sporgente: erano i cosiddetti muri anti lupo, costruiti in questo modo per impedire agli animali affamati di scavalcarli e di depredare le greggi.
Facciamo ancora pochi passi e la pioggia, a lungo paventata, decide infine di cadere, ma lo fa solo per pochi minuti, quelli che servono a me per tirare fuori dallo zaino la mantella e trasformarmi nuovamente nel mitologico Gnomone Blu della Val di Susa. È un'apparizione veloce, torno subito normale e, insieme alla combriccola, mi avvio per gli ultimi quattro chilometri di questa bella tappa.

Ci addentriamo nella bellissima Pineta Galietti che prende il nome dalla masseria settecentesca che sorge al suo interno ed è qui, proprio sul filo di lana, che Lorenzo trova alfine la sua orchidea selvatica: la cercava da stamattina e ora che l'ha trovata è felicissimo. La Puglia è la regione numero uno in Italia per la presenza di orchidee e noi rimaniamo ad osservare questo tenero virgulto con un misto di stupore e meraviglia. 
Quando usciamo dalla pineta entriamo in paese e chiudiamo infine la tappa, celebrando la tappa con un giro di birre...anzi due. 
Domani si arriva ad Altamura atteaverso la steppa murgiana per cui rimanete sintonizzati. 
Hasta siempre.

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