Saluggia -Vercelli, roba di 32 km circa. Si inizia su strada ma dopo pochissimo ci si addentra su sterrati che lenti e silenziosi si muovono fra le solite pannocchie, il solito grano, i soliti canalini con l'acqua che va in tutte le direzioni grazie a sapienti giochi di livelli, di chiuse e chiusini, di sapiente lavoro di secoli che è ancora lì a testimoniare l'arte contadina.
Arrivo a Lamporo, un piccolo paese tutto dritto e diviso in due da un canale. Regna il silenzio e l'aria è carica dell'odore del letame. Un micio nero nero pellegrina con me per un po ma si stanca subito, si sdraia e chiede una razione di coccole, come se fosse un pedaggio da pagare. La ottiene.
Continuo a camminare lungo il canale fino alla fine del borgo e appena fuori improvvisamente il paesaggio cambia, il terreno si riempie d'acqua e le piante rimpiccioliscono fino a sembrare un prato bagnato: benvenuti nella risaia!!!
È un luogo magico, a sé stante: il paesaggio si colora del bianco e del grigio degli aironi e si popola di quei bellissimi esserini volanti e pigolanti che sono i Cavalieri d'Italia. Sono animali schivi e sospettosi, spalancano le loro ali e volano più in là appena ti sentono arrivare. Fotografarli è praticamente impossibile ma il mio medio-tele riesce comunque a catturarne qualcuno.
Nonostante il caldo sia forte (il sole è uscito prepotente) e gli zanzarini siano una piaga di biblica memoria, il camminare è veramente piacevole e verrebbe voglia di perdersi fra i tanti sterrati che si incrociano nell'enorme spianata coltivata a riso...e di fatto succede. È soltanto un modo di procrastinare, di rimandare l'inevitabile perché là, in fondo al campo e al riso, c'è la provinciale ad attendermi, 22 km crudeli di asfalto per arrivare fino a Vercelli. È la tempesta dopa la quiete, in tutti i sensi: dopo pochi chilometri sento uno strano rombo alle mie spalle, mi giro e un coso nero fatto di nuvole ammucchiate a casaccio mi segue, mi tallona, mi raggiunge e mi abbraccia affettuoso e bagnato. Fulmini, saette. Riparo in una specie di casolare abbandonato e aspetto. Aspetto. Aspetto. Di farmi piovere addosso oggi proprio non mi va per cui... aspetto.
Lo faccio sfogare ben bene in modo che non ne rimanga più per un eventuale richiamino (si sa Giove pluvio è un gran burlone e c'è da aspettarsi di tutto e di più). Poi è di nuovo asfalto, con le gambe che si fanno pesanti, i piedi gonfi e le spalle segnate dallo zaino.
La strada non ha pietà, no, il traffico non ha pietà e necessita del suo dazio in sangue, sangue animale e così due ricci, un grosso volatile non più identificabile e un serpente sono il triste resoconto di questi chilometri.
Vercelli si apre devanti a me bagnata e fredda e io mi ci infilo sotto una pioggerellina London style di quelle che non sembra ma ti inzuppano ben bene. Aaargh, e io che avevo già messo via la Santa Mantella!!!! Giove, Dio pagano e demoniaco, mi hai fregato un'altra volta.
Ora a Roma mancano 728,1 km, keep on rocking, baby.
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