venerdì 27 dicembre 2019

Corigliano, l’arte della cartapesta a Lecce e the King of mortadella


Il castello di Corigliano d'Otranto
L’ho già detto, lo so, ma fare colazione con un pasticciotto, prezioso scrigno di pasta frolla che nasconde un tesoro di crema, è uno dei modi migliori di risvegliarsi, ti riempie subito di una dolcezza che ti porterai dietro fino al calar del sole e anche oltre.
Il secondo giorno dell’Educational Tour dedicato al culto di S. Lucia in Salento inizia all’insegna del sole e della bellezza. Li troviamo entrambi appena il pulmino si ferma di fronte al castello di Corigliano d’Otranto. L’antistante Piazza Vittoria è occupata dal colorato mercato di Santa Lucia dove, insieme ai banchi che vendono frutta, verdura e le famose prelibatezze natalizie come i ceci secchi glassati, le mandorle salate e i datteri, c’è chi espone vestiti e utensili per la cucina. 
Ci lasciamo questo simpatico caos alle spalle e, attraversando la Porta Sud, ci immergiamo nelle splendide viuzze del paese dove regna il silenzio. La porta è sormontata dallo stemma civico e da quello araldico della famiglia de’ Monti cui apparteneva Giovan Battista, il feudatario che nei primi del Cinquecento fortificò il paese e ampliò il castello con quattro grosse torri angolari. Il motto “Invidia inopia fa” inciso sulla cornice superiore, invita, oggi come allora, a non essere invidiosi di ciò che la cinta muraria racchiudeva; mai motto fu più appropriato perché Corigliano d’Otranto è sicuramente una delle più affascinanti cittadine di tutta la zona. 
Ci troviamo nel cuore della Grecia Salentina, un territorio ellenofono composto di nove comuni che ha radici antichissime, risalenti ai tempi della Magna Grecia e consolidatosi con la dominazione bizantina.
Qui, insieme all’italiano, si parla il griko, un antico dialetto di origine greca e molte delle insegne e dei cartelli stradali riportano indicazioni in entrambe le lingue. 
Sotto la preziosa supervisione di Carlo Vito Morciano, cominciamo ad addentrarci fra i vicoli illuminati dal sole su cui si aprono cortili stupendi pieni di piante e fiori, delimitati da archi in pietra leccese pregevolmente scolpiti. Il più importante è sicuramente l’Arco Lucchetti.
Anticamente, attraversandolo si accedeva alla corte di un palazzo storico che oggi non esiste più, ma il prezioso portale resta viva testimonianza di un tempo che fu. La ricca decorazione è costituita da elementi antropomorfi e zoomorfi fra cui spiccano la scena di un matrimonio, con un uomo e una donna che si tengono per mano sotto i quali un cane, simbolo di fedeltà, festeggia giocoso tenendo in bocca un anello.
Nella pietra è scolpito anche San Giorgio intento a sconfiggere il drago e c’è un’iscrizione che rivela che il proprietario dell’edificio, tale Nicola Robi, fu anche l’artefice di tanta meraviglia.

L'arco Lucchetti
La facciata della Chiesa Madre
Continuiamo a camminare per i vicoli addobbati per l’imminente Natale con luminarie e stelle dorate che si stagliano brillanti nell’azzurro del cielo. 
La seconda tappa è la Chiesa Madre, edificata nella seconda metà del XVI secolo e dedicata a San Nicola di Mira, patrono di Corigliano. Una scala porta al bel portale ricco di fregi e decorazioni fra cui il cuore che è il simbolo del paese. 
Appena si entra non si può non notare, sul pavimento, il mosaico raffigurante un albero il cui tronco corre lungo tutta la navata centrale. Fu realizzato nel tardo Ottocento dai fratelli Maselli di Cutrofiano e richiama il più celebre albero della vita che si trova nella cattedrale di Santa Maria Annunziata a Otranto, datato 1165.
I due altari laterali, ovviamente in pietra leccese, sono degli autentici gioielli di scultura e sono ricchissimi di decorazioni alcune delle quali sono ricoperte in foglia d’oro.
La torre campanaria è più antica della chiesa, risale, infatti, al 1465, come testimoniato dal millesimo scolpito su una pietra in caratteri greci ed era una torre di vedetta che faceva parte della cinta muraria medievale.
Bastano pochi passi per arrivare alla tappa successiva di questo bel giro per Corigliano d’Otranto, e ciò che abbiamo il privilegio di osservare è ancora più antico della torre, qualcosa che risale all’anno 1000. No, non è un altro manufatto o un raro pezzo di archeologia, ma un albero: la Quercia Vallonea. 
È una delle specie arboree più affascinanti di tutta la flora salentina appartenente alla stessa famiglia del castagno e del faggio, le fagacee, come testimoniato dalle sue dimensioni. Il suo tronco ha un diametro di un metro e la sua ricca chioma si allarga per oltre venti metri; è chiuso in un piccolo giardino il cui accesso è, ahimè, negato ed è un vero peccato perché alberi così andrebbero abbracciati e tenuti stretti per qualche minuto.
Il nome Vallonea deriva dal greco valani, che significa ghianda; il frutto di quest’albero è più grosso delle normali ghiande ed è protetto da un involucro che ricorda molto le pigne. La sua particolarità è l’alta presenza, al suo interno, dell’acido tannico che si usa nelle concerie per ammorbidire la pelle.

La quercia Vallonea
L'ingresso del castello
Torniamo sui nostri passi e prima di riprendere il pulmino ci soffermiamo davanti al Castello, bellissimo modello di architettura feudale e militare. Di origine medievale, fu ristrutturato nei primi anni del Cinquecento dalla famiglia De’ Monti per respingere le frequenti incursioni saracene e divenne vero e proprio simbolo del paese, forte delle sue torri circolari, delle cannoniere che le occupavano e del fossato che lo isolava.
Nel Seicento la facciata è stata ristrutturata secondo i dettami del barocco e si è arricchita di nicchie che ospitano busti di personaggi dell’epoca, soprattutto condottieri, e di statue iconologiche rappresentanti le virtù.
Sui torrioni invece campeggiano gli stemmi di famiglia e ognuno è dedicato a un santo.
Con il passare dei secoli il maschio perse la sua funzione originale e venne usato per i più disparati scopi ospitando anche un mulino a vapore. Ora ospita un bookshop, una biblioteca e un museo multimediale dedicato alla sua storia con una ricca collezione di ceramiche preistoriche, anfore romane e vari reperti medioevali.

Un palazzo storico di Lecce
L'altare maggiore nella chiesa del Gesù
Il tempo stringe e il gruppo risale a bordo del pulmino per spostarsi a Lecce, vero piatto forte della giornata, almeno per me che non ci sono mai stato.
Il motivo principale che ci spinge nel capoluogo è vedere da vicino come si realizzano le statue di cartapesta che vanno ad arricchire i presepi e non solo.
Iniziamo una lunga passeggiata da Porta Napoli, illuminata dal sole caldo di mezzogiorno; i vicoli sono tagliati in due dall’insindacabile gioco di luci e ombre, linee nette che creano riquadri precisi e mettono in evidenza dettagli tralasciandone altri. 
Non c’è luce nella Chiesa del Gesù, non quella del sole almeno, a parte i pochi raggi che entrano dai finestroni in alto. Fioche luci artificiali e candele sono l’unica illuminazione disponibile ma bastano a garantire una visione accurata della splendida struttura che fu costruita nella seconda metà del Cinquecento al posto dell’antica chiesa di San Niccolò dei Greci di rito greco-ortodosso, seguendo la struttura dell’omonima chiesa a Roma. 
L’ordine dei gesuiti ne studiò e realizzò il progetto aprendola al culto nel 1577, anche se i lavori proseguirono per qualche decennio.
L’altare maggiore, edificato alla fine del Seicento, è il manifesto della cultura barocca di Lecce ed è altamente scenografico; ricorda quasi un palcoscenico teatrale, tondeggiante e con le grosse colonne a tortiglione che richiamano delle quinte e i pulpiti che ricordano la forma dei palchi.
All’interno sono ospitate numerose opere d’arte sia pittoriche sia scultoree, mentre il soffitto è ligneo a cassettoni ed è animato da tele raffiguranti le Glorie della Compagnia di Gesù di Giuseppe da Brindisi.
Poco prima di entrare in questo luogo meraviglioso, ci siamo attardati in uno dei tanti laboratori, dove si lavora la cartapesta per produrre statue, una tradizione antichissima e molto seguita sia in città sia in tutto il Salento.
Luminarie di Natale
Gli antipasti del Boccon Divino
È stato un tour breve sia perché l’ambiente era angusto e pieno di lavori sia perché gli artigiani stavano lavorando e non volevamo disturbare. Inoltre avevamo un appuntamento ben preciso, uno di quelli dove non si può tardare, quello con il pranzo.
A ospitarci è stato il ristorante Boccon Divino, la tradizione in tavola.
In pieno centro storico, clima caldo e accogliente, ottima carta dei vini e un livello gastronomico altissimo.
Il menù che ci è stato proposto comprendeva un ricco giro di deliziosi antipasti: Burrata delle Murge con pomodori secchi, paté d'olive leccine e pistacchi, dell’ottimo Capocollo di Martina Franca DOP, dei croissant ripieni con ortaggi e feta, dei crostini con robiola, aringa affumicata finocchi e arancia, una selezione di formaggi locali e per finire gamberi al burro e salvia su vellutata di fave, arancini al nero di seppia con bottarga e crostoni con marmellata di prosciutto crudo e mozzarella di bufala. Poteva bastare questo ma i secondi non erano da meno: bocconcini di pollo con crema di burrata e mandorle e straccetti d'entrecote all'aceto balsamico con rucola e grana.
Il tutto è stato accompagnato da due ottimi vini: un Versante della cantina Agricole Vallone e un Canonico delle Cantine Due Palme.
Abbiamo chiuso in dolcezza con una Cotognata leccese e l’inevitabile pasticciotto. Inutile dire che siamo usciti soddisfatti e satolli e abbiamo passeggiato per la città fino ad arrivare a Piazza del Duomo, dove faceva bella mostra di se un grande presepe.

Il presepe in Piazza del Duomo
La base per le statue di cartapesta

È qui che ha la sua bottega Marco Epicochi, maestro artigiano che mi ha spiegato la tecnica per realizzare le famose statue di cartapesta. 
Per prima cosa si creano con l’argilla la testa, le mani e i piedi delle sculture proporzionatamente all’altezza prevista, poi si fanno cuocere in forno a 1000°.
Il secondo passo è dare la forma al corpo e si procede creando una struttura con il fil di ferro che viene poi riempita con la paglia. Questo permette al manichino di essere flessibile e di poter agire sul movimento degli arti e di dar loro la giusta postura.
Si prepara quindi una colla con la farina e l’acqua, la si fa cuocere e ci si imbevono dei fogli di carta senza cellulosa, grandi o piccoli in base alle dimensioni della statua che si va a realizzare. Con questi fogli si ricopre la struttura in fil di ferro e poi si lascia seccare il tutto. Dopo aver attaccato le parti in terracotta arriva il momento più delicato dell’intero processo, la focheggiatura; avviene tramite delle barre di ferro che vengono scaldate nei carboni ardenti e con cui poi si da forma alla carta in modo da creare i panneggi dei vestiti.
A questo punto l’artigiano o il committente può decidere se lasciare la statua cosi, con il classico colore marrone sfumato, o se dipingerla.
Marco è uno fra gli artigiani più rinomati e una sua statua alta due metri e raffigurante S. Caterina d’Alessandria, è a Betlemme.

Natività di cartapesta
Presepe alla Fiera di Santa Lucia

Il sole è sceso, la città si è accesa di mille luminarie, alcune gradevoli altre meno, e rimane il tempo per fare un salto al castello per visitare la Fiera di Santa Lucia, tutta dedicata al presepe che ospita artisti pugliesi e non solo.
Personalmente non sono un grande amante del Natale e di tutti i suoi rituali, inoltre le sale sono invase da orde di bambini urlanti per cui la visita è breve, anche perché bisogna abbandonare Lecce e tornare a Tiggiano. Oggi è Santa Lucia e in piazza, di fronte al palazzo Baronale, hanno allestito la tradizionale Focaredda, una grossa pira di legno che si accende per celebrare la santa. 
Prima di arrivarci però, facciamo una sosta per conoscere uno dei personaggi più stravaganti del paese, Giuseppe Alessio, meglio noto come The King of mortadella. Il suo negozio di generi alimentari è famoso tanto quanto la mortadella che produce. Pare che il soprannome gli sia stato dato da Helen Mirren in persona, prima grande fan del suo prelibato insaccato. Da quel momento, Giuseppe si è creato il suo personaggio e ha cominciato ad appendere nella sua bottega foto che lo ritraggono nelle pose più disparate, ma sempre con la sua fida mortadella al fianco; ha addirittura una Fiat 500 tutta dipinta di rosa, la sua macchina ufficiale. L’assaggio è d’obbligo come le foto di rito dietro il bancone.

Con Giuseppe Alessio, the King of mortadella
Il Borgo nel Bosco, Tiggiano
Quando arriviamo in piazza, ad accoglierci c’è una brutta notizia: il forte vento di scirocco che imperversa da questa mattina su tutta l’area non permette, per motivi di sicurezza, l’accensione del grande fuoco e inoltre il cielo si è coperto e minaccia pioggia. La delusione è tanta ed è mitigata solo in parte dalla musica suonata da un trio composto di due pianoforti e una batteria; le canzoni sono quelle di De André, di Lucio Dalla e di altri famosi cantautori italiani e io mi faccio tentare da una birra e mi siedo su una panchina a canticchiare sommessamente. Poi però, quando il tempo sta per scadere, m’infilo di corsa nel giardino del palazzo Baronale ed è qui che il mio spirito si risolleva e il mio cuore va fuori giri: le luminarie che ieri mattina pendevano spente dai rami del frutteto ora sono accese e creano una fantastica atmosfera da bosco incantato. Mi aggiro lentamente scattando qualche foto, raggiungo la faggeta, dove altre luci sono nascoste fra gli alberi e per un attimo, mi sembra di essere in un allestimento di Sogno di una notte di mezza estate, qualcosa fra il bucolico e l’onirico: mi perdo.
A riportarmi alla realtà sono la pioggia e una telefonata: sul pulmino manco solo io. Corro lanciando ultime occhiate a questa meraviglia di luci e colori poi monto a bordo e si va, direzione Celacanto.
Facciamo appena in tempo a entrare, che una tempesta comincia a flagellare la costa. Dentro l’atmosfera è calda e fra un bicchiere di vino e due chiacchiere arriva l’ora di cenare, una cena parca su nostra espressa richiesta, ma la zuppa di polpo con le patate è veramente un toccasana.
La giornata volge al termine, Santa Lucia si porta via il giorno più corto che ci sia (anche se in realtà quello sarà il 22 dicembre, solstizio d’inverno) ma i detti popolari hanno sempre un loro fascino e allora meglio guardare alla primavera imminente e al riallungarsi delle giornate.
Domani è un altro giorno, punto e basta.

Musica in piazza a Tiggiano 



Nessun commento:

Posta un commento