mercoledì 20 novembre 2019

Duri i banchi

La marea a Riva degli Schiavoni
Duri i banchi, tenete duro: questa frase risuona nelle calli e nei campi, è sussurrata nei pochi bar aperti, rimbalza sulle pagine social di chi vive a Venezia, pervade l’aria e ricopre la città, esattamente come l’acqua.
Quello che è successo martedì 12 novembre è stato straordinario, nell’accezione più pura del termine: fuori dall’ordinario. Vedere il tranquillo Rio de S. Ana trasformarsi in un fiume fuori giri, argine e controllo, osservarlo aggredire brutalmente via Garibaldi e mordere i suoi lati come uno squalo affamato è stato qualcosa di spaventoso, d’intollerabile. Prendere coscienza dei danni il giorno dopo è stato anche peggio.

La calle invasa dall'acqua
Da quando ho scelto questa città come tana, ho imparato a conviverci, ho capito molte delle sue regole e alcuni dei meccanismi che ne governano l’esistenza e la sopravvivenza. Quando decidi di vivere parte del tuo tempo in un nuovo luogo, devi necessariamente armonizzartici, accettare tutti gli aspetti del suo carattere, anche quelli più intransigenti; in questi anni, io e Venezia siamo diventati più complici, ci capiamo meglio ed io sento di amarla ancora di più, anche nei momenti di difficoltà. 
Nonostante la mia frequentazione di Venezia sia di lunga data, il battesimo dell’acqua alta l’ho avuto lo scorso anno, il 29 ottobre, quando ho sentito per la prima volta cantare la sirena: era tardi, poco prima di mezzanotte e un suono che ricordava quello sentito in tanti film sulla guerra, Roma città aperta per dirne uno, era risuonato nel silenzio delle calli come un muggito lamentoso e triste, poi erano partite le note. Quattro toni crescenti scanditi da una piccola pausa avevano fatto vibrare tutta la città portando un messaggio ed io mi ero sentito per un attimo una comparsa di Incontri ravvicinati del terzo tipo: davanti a me non c’era un’astronave ma una città bellissima, le sue luci fioche, le sue notti silenziose. 
Il livello dell’acqua si fermò a un centimetro dalla soglia della mia casa, appena sotto il gradino, quota 156 cm sul medio-mare. Lo so, sembra un termine preso dalla saga della Torre Nera di Stephen King ma il medio-mare non è uno dei tanti mari possibili, è lo zero mareografico registrato dalla stazione idrografica di Punta della Salute; le sue variazioni sono sintomo di maree (sostenuta, molto sostenuta ed eccezionale) e sono loro a dar vita ai toni musicali e a molto altro.

Acqua alta
L’acqua alta – in questo caso acqua granda– è un fenomeno molto complesso, generato da un insieme di fattori quali la fase lunare, i venti, le condizioni metereologiche, i campi barici e tanti altri. Spiegare in poche parole la complessità di questo evento è praticamente impossibile ma potete approfondire la questione curiosando sul web; posso dirvi che quel martedì notte, allo scirocco che, come d’abitudine, soffiava impietoso da sud spingendo l’Adriatico verso il suo punto terminale, si è aggiunta la bora che ha rinforzato ulteriormente la spinta dell’acqua facendo si che sommergesse letteralmente la città.
La marea, prevista intorno ai 160 cm, si è alzata velocemente fino a toccare i 187 e la sua forza distruttrice ha trascinato con sé qualsiasi cosa trovasse sul suo cammino: barche, pedane per attraversare i ponti lungo la Riva degli Schiavoni e quella dei Sette Martiri, imbarcaderi, tavoli e sedie di bar e ristoranti, cestini dei rifiuti, briccole. 
La corrente è stata la prima cosa ad andar via, lasciando Venezia cieca e ancora più impotente; a casa avevo solo una mezza candela, mentre lo smartphone e il portatile, altre possibili fonti di luce, erano ridotti al lumicino e quando l’acqua ha iniziato a trasudare dal pavimento riempiendo la casa non ho potuto fare altro che sollevare ciò che potevo usando delle mattonelle e sedermi aspettando che l’incubo finisse. È passata un’ora e più, poi il vento si è spento rapidamente come si era acceso e la marea ha iniziato a defluire. Una volta tolta la paratia da davanti alla porta, il grosso dell’acqua si è trasformato in una cascatella scivolando giù dal gradino e tornando in calle; il suo rumore si è sommato a quelli che uscivano dalle altre porte aperte, a quello dei secchi svuotati, e questo sgocciolare ha riempito il silenzio di una città annichilita.
Ci sono volute altre due ore per far uscire il resto, per trascinare fuori dalla camera da letto a colpi di scopa l’acqua che non ne voleva sapere di ritornare in laguna. La luce fortunatamente era tornata e lavorare è stato più semplice; sono andato a dormire alle 2,30 con il fisico provato e un forte senso di angoscia per ciò che poteva essere successo nel resto della città.

Vaporetto arenato sulla riva
Muri abbattuti a Giardini
La mattina dopo Venezia si è risvegliata scoprendosi dilaniata, colpita al cuore e solo allora è iniziata la conta dei danni. La maggior parte delle attività commerciali e degli appartamenti siti al piano terra aveva subito danni gravi, macchinari ed elettrodomestici non avevano retto il confronto con la marea e si erano arresi, all’interno dei negozi le merci giacevano a terra o ancora galleggiavano nell’acqua; nessuno si era salvato e via Garibaldi sembrava un campo di battaglia.
Dopo aver recuperato ed espulso ancora un po’ d’acqua, sono uscito per rendermi conto di ciò che era successo e ciò che ho visto è stato terrificante; a Sant’Elena c'erano molti pini abbattuti e due battelli erano affondati e dall’acqua uscivano solo le prue, un vaporetto della linea 1 era appoggiato per metà su una riva non lontano da Piazza san Marco. Anche due gondole erano state spinte in secca e un motoscafo si era infilato in una calle come se avesse disperatamente cercato riparo dalla furia degli elementi. A Giardini uno degli imbarcaderi era sparito e ricordo di aver pensato che durante la notte avesse superato la bocca di porto di Malamocco e che stesse facendo rotta per i Caraibi; alcuni dei muri che delimitavano la riva proprio davanti all’uscita della Biennale erano stati abbattuti e le colonnine che impreziosivano le piccole terrazze erano state spazzate via. Tutte le pedane erano inagibili, una era addirittura piegata di trenta gradi verso l’interno mentre la statua dedicata alla partigiana, una scultura distesa adagiata fra le acque, si era spostata di qualche metro.
L’acqua non era scesa del tutto e soprattutto nelle parti più basse, piazza san Marco in testa, ancora stazionava come un’oscura presenza.

Pini caduti a Sant'Elena
Battelli affondati a Sant'Elena
Più passavano le ore e più il conto si faceva salato; dalle isole arrivavano notizie tremende, soprattutto dalla mia amata Pellestrina che forse ha pagato il prezzo più alto con i tre villaggi sommersi, le attività in ginocchio e una vittima.
È stato quel giorno che ho scoperto il senso della frase “duri i banchi” che conoscevo solo perché era il titolo di un disco dei Pittura Freska. I veneziani se la dicevano, facendosi forza l’uno con l’altro, incitandosi a tener duro e superare quel brutto momento.
La vita dopo l’acqua grandaè stata tutt’altro che facile: negozi chiusi, bancomat spenti, trasporti a singhiozzo e tanta, tantissima roba ammucchiata nei campielli e nelle calli, il tutto scandito dal rumore delle pompe che ancora tiravano fuori acqua dai locali allagati.  Tutti si sono rimboccati le maniche e un forte spirito di solidarietà ha animato la citta; tanti giovani si sono dati da fare per aiutare chi aveva bisogno venendo anche dalla terraferma e Venezia è stata circondata da un amore immenso, incondizionato, che ha permesso a molte persone di non mollare, di ricominciare. Una delle cose più belle che ho visto, era un cartello esposto nella vetrina del primo bar che ha riaperto in via Garibaldi: recitava “caffè gratis per i commercianti”. A volte basta veramente poco per essere vicini agli altri, una piccola gentilezza che sa essere di sprone per chi ha perso tutto o quasi.

Cartello di un bar a via Garibaldi
Campo Ruga
Nei giorni successivi l’acqua è tornata a far paura, ma un vento gentile ha graziato la città evitandole il colpo del KO, poi, un passo per volta, una sorta di normalità è tornata ad animare quel dedalo meraviglioso che è Venezia; i supermercati hanno riaperto, i negozi e i bacari anche. Qualcuno avrà ancora molto da lavorare per sistemare tutto e ci sarà ancora bisogno di molto aiuto ma credo di aver sentito lo spirito giusto aleggiare sui tetti di questa città unica e preziosa. 
Restano da definire le responsabilità di quanto successo, quelle che vanno oltre la furia del vento. Resta da capire la follia di un progetto come il Mose, destinato ad essere l’ennesimo spreco di denaro pubblico, dello scavo di canali che hanno devastato i fondali della laguna esattamente come il transito costante delle stramaledette navi da crociera.
Quest’anno Venezia ha lanciato dei chiari segnali di allarme, ha urlato al mondo il suo bisogno di aiuto; bisognerebbe che queste sirene non fossero ignorate, bisognerebbe che a guidare questa città non ci fosse un imprenditore che pensa solo al profitto, ma una persona illuminata in grado di fare scelte coraggiose e di sfidare i poteri forti, qualcuno in grado di lottare per il bene di un luogo che è tanto prezioso quanto fragile. 

Dopo l'acqua granda














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